La Gran Bretagna lancia l’allarme sui super-batteri che gli antibiotici non riescono a vincere e l’Italia si rivela essere il paese in cui questi farmaci rischiano di guarire sempre meno. Perché da noi il consumo di antibiotici è tra i più alti in Europa, sia per gli uomini che per gli animali. «Un quadro decisamente preoccupante», avvertono gli specialisti della Società italiana malattie infettive.
Il ministro della Salute Beatrice Lorenzin parla di questa emergenza come «una priorità». Perché, dati alla mano, l’inefficacia delle terapie (si pensi solo alla protezione dopo un intervento chirurgico) potrebbe mettere a rischio i successi in medicina ottenuti negli ultimi decenni. Periodo nel quale, però, proprio da noi si è diffusa la modalità dell’antibiotico fai-da-te e anche un uso massiccio negli allevamenti. Risultato: in Italia il fenomeno della resistenza, la condizione cioè in cui gli antibiotici non riescono più a rendere inefficaci i batteri, è la causa indiretta di circa settemila decessi.
L’altra parte – avverte – è quella degli animali, noi possiamo dire che la lotta agli antibiotici è alta ed in Italia abbiamo dei controlli molto severi. La somministrazione agli animali da noi viene fatta solo sotto prescrizione veterinaria, e, al momento in cui la carne viene macellata, passa un tempo in cui la presenza di antibiotici si abbatte, questo vuol dire che stiamo facendo un grande lavoro. È stato fatto molto – conclude – negli ultimi 3 anni è stata ridotta del 30% la presenza di antibiotici nelle nostre carni, ma possiamo fare ancora di più”.
«Le cause che sono alla base dell’antibiotico-resistenza sono varie – fa sapere Massimo Andreoni, presidente della Società italiana malattie infettive – ma un ruolo particolare gioca l’uso inappropriato. Un fattore importante nella diffusione è rappresentato dalla trasmissione di infezioni soprattutto nell’ambito assistenziale, come gli ospedali e le strutture di lungodegenza. A rischio in particolare le persone fragili come gli anziani». Le infezioni più diffuse sono quelle ai polmoni, alle vie urinarie, delle ferite chirurgiche e quelle collegate all’uso del catetere.
Da qui, la proposta degli infettivologi: «Vanno adottate anche in Italia – aggiunge Andreoni quelle strategie che si sono dimostrate efficaci in altri paesi». Che vuoi dire nuove linee guida per l’uso di questi farmaci, dagli ospedali, allo studio medico, agli allevamenti. Ma anche, lo dice con chiarezza Massimo Andreoni, diffondere «la corretta igiene delle mani e le altre procedure igieniche per il controllo della trasmissione degli agenti infettivi in ambito sanitario». Una denuncia: il consumo di soluzioni idroalcoliche per l’igienizzazione delle mani è fra i più bassi in Europa. Inoltre, secondo gli specialisti è attualmente in corso un’epidemia a livello nazionale di infezioni da Enterobacteriaceae in particolare Klebsiella pneumoniae, il cui tasso di resistenza agli storici “nemici”, i carbapenemi, è passato dal 1,7% del 2009 al 29% del 2012. Confermano l’allarme antibiotico-resistenza anche i pediatri del Bambino Gesù a Roma. «Il nostro paese – dice Marta Ciofi degli Atti, responsabile di Epidemiologia clinica dell’ospedale pediatrico – è tra le nazioni europee che usa la maggior quantità di antibiotici. E’ necessario ricordare che le infezioni delle prime vie respiratorie dei bambini non devono essere curate con questi farmaci. Che vanno riservati solo per il trattamento di casi particolari. Il rischio maggiore, oltre che per le persone con elevata suscettibilità alle infezioni, anche per i pazienti nelle terapie intensive». E’ stato valutato che, in media, il 5% dei ricoverati contrae un’infezione durante i giorni in ospedale.
Carla Massi – Il Messaggero – 8 aprile 2015