Tagli retributivi ai dirigenti Pa «inversamente proporzionali agli ultimi aumenti»; e «ripesatura» dell’indennità di posizione. Il sottosegretario Angelo Rughetti risponde così all’inchiesta del Sole 24 Ore sugli eccessi retributivi nella Pa. Un intervento in due tempi. Nell’immediato, «e per dare un segnale», un’azione differenziata di riduzione delle retribuzioni di tutta la dirigenza pubblica, «con tagli inversamente proporzionali agli aumenti di stipendio decisi negli ultimi anni, praticamente senza controlli». Poi, «e superando l’ottica dei tagli lineari», una «ripesatura» dell’«indennità di posizione» che andrà calibrata «alle funzioni dirigenziali effettivamente svolte». Vale a dire «sulla base della tipologia del lavoro che si fa e delle responsabilità che si hanno, che non possono essere identiche per tutti gli incarichi».
Il sottosegretario alla Pubblica amministrazione, Angelo Rughetti (nella foto), risponde così all’inchiesta del «Sole24Ore» pubblicata ieri che ha mappato tutti gli eccessi retributivi esistenti all’interno del variegato mondo della Pa. «C’è una forte sperequazione sui trattamenti retributivi dei dirigenti. Non c’è dubbio – spiega Rughetti – e l’obiettivo, ora, è accelerare con gli interventi per riportare il quadro sotto una lente di omogeneità».
Sottosegretario, come si è arrivati a salari così difformi da comparto a comparto?
In questi anni la politica ha lasciato fare e così l’alta burocrazia si è di fatto autogestita, senza controlli. Nelle prefetture, per esempio, anche quelle in prima linea, gli stipendi sono rimasti fermi. Così invece non è accaduto nella carriera diplomatica che ha fatto registrare aumenti del 37%. Lei pensi che il prefetto della più importante città italiana guadagna 156mila euro lordi l’anno e un diplomatico, con l’indennità di fuori sede, arriva a 300mila euro.
Una disparità evidente sui cui pensate di intervenire?
Sì. Nell’immediato l’intenzione è quella di intervenire su tutta la dirigenza, compresi i settori della difesa, della sicurezza e degli esteri. Parliamo di un monte retributivo di 28,5 miliardi di euro. L’idea, per dare subito un segnale, è quella di introdurre misure di riduzione differenziate, inversamente proporzionali agli aumenti decisi negli anni, senza controlli. In questo caso, nell’esempio di prima, ai diplomatici toccherebbe una percentuale di riduzione più elevata.
È giusto che i dirigenti per “arrotondare” vadano a insegnare nelle scuole di formazione?
No. Oggi abbiano 6-7 scuole, con tanti vertici e costi elevati. Vogliamo arrivare a una sola scuola, strutturata in dipartimenti e ciascuno collegato al ministero di riferimento. I governi Monti e Letta c’hanno provato. A noi tocca fare il passo definitivo.
Ma pensate anche a misure a regime?
Certo. L’obiettivo è superare lo strumento dei tagli lineari e iniziare a incidere sulla struttura delle retribuzioni dirigenziali. Oggi la busta paga dei dirigenti pubblici è strutturata con voci fisse e variabili. Un recente rapporto dell’Anac (l’Autorità per la valutazione, la ex Civit) ha evidenziato come nel 90% dei casi non ci sono giudizi con l’erogazione dei premi a pioggia. Così la parte parte premiale di risorse alla fine diventa un costo fisso. Per evitare questo pensiamo a una “ripesatura” dell’indennità di posizione in base al lavoro che si fa. Inoltre, ci dovrà essere un ripensamento di tutte le posizioni dirigenziali di prima e di seconda fascia. Bisognerà distinguere gli incarichi in base alle responsabilità e alla complessità organizzativa. E la retribuzione varierà in funzione della posizione che si andrà a ricoprire.
Il piano Cottarelli cifra in 500 milioni le riduzioni di spesa per i dirigenti. In campo c’è anche la proposta del presidente della commissione Bilancio della Camera, Francesco Boccia, che propone in via temporanea tagli alle retribuzioni più elevate. Lei che ne pensa?
La proposta Boccia, in chiave di equità, ha un pregio giuridicocostituzionale che può superare il vaglio della corte costituzionale. Nella legge di stabilità è stato introdotto un contributo di solidarietà, per tre anni, per le cosiddette “pensioni d’oro”, pari al 6% per importi sopra i 90mila euro l’anno, che sale al 12% per importi oltre i 128mila euro, e al 18% per pensioni sopra i 190mila euro l’anno. Questo taglio potrebbe essere esteso anche ai redditi (e non quindi solo alle pensioni). È una delle ipotesi su cui stiamo ragionando.
Sempre in tema di dirigenti pubblici il ministro Madia ha parlato anche di mobilità obbligatoria. Nel dettaglio in che consiste la proposta?
La mobilità dei dirigenti dovrà diventare ordinaria. Oggi la mobilità intercompartimentale è intorno al 3%. Questo vuol dire che in alcuni settori è pari allo zero per cento, in altri oscilla tra il 4% e il 5%. Il dirigente deve essere un dipendente della Repubblica, e non legato a doppio filo a un solo ente. Non ci dovranno essere più capi dipartimento per 20 anni in una amministrazione. Non solo. Un capo dipartimento potrà andare in un altro ente e avere un altro incarico. Non più solo conoscenza della materia. Macapacità di gestire la complessità della struttura. Pensiamo anche di riorganizzare le strutture dello Stato sul territorio. Attualmente abbiamo 109 soprintendenze, 107 uffici del lavoro, 109 uffici scolastici, 103 uffici della Ragioneria. Dobbiamo razionalizzare, affidando a un soggetto il compito di riordinare le strutture. E sui prepensionamenti? Con il ministro ci stiamo ragionando assieme a Mef e Inps. Vogliamo fare entrare personale qualificato e motivato consentendo a chi è vicino alla pensione di poter uscire utilizzando le regole preFornero. Il tutto però dovrà avvenire rispettando i conti pubblici.
Il Sole 24 Ore – 27 marzo 2014