Il 1° luglio è atteso il debutto del processo telematico ma sono auspicabili «modalità semplificate in materie con problemi di modesta portata». E’ una fase di transizione quella che sta attraversando la magistratura amministrativa. Il processo telematico, il cui debutto è atteso per il 1° luglio, dovrebbe traghettare Consiglio di Stato e Tar nell’era della giustizia 2.0, con benefici effetti per gli stessi giudici, gli avvocati e gli utenti finali, i cittadini.
Al momento, però, si è appesi alle regole tecniche, ultimo tassello che manca per rendere operativo il processo digitale (si veda anche Il Sole 24 Ore di ieri).
Il cambiamento della giustizia amministrativa passa, però, anche per altri versanti. Come ha ricordato ieri il presidente del Consiglio di Stato, Giorgio Giovannini – aprendo a Palazzo Spada l’anno giudiziario alla presenza del presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, alla sua prima uscita pubblica – si dovrebbe lavorare per garantire la ragionevole durata dei processi, magari attraverso l’introduzione di «modalità processuali semplificate» in materie che «presentano problemi tecnici di modesta portata ma che tuttavia alimentano un contenzioso quantitativamente molto consistente», come i permessi di soggiorno, le autorizzazioni di porto d’armi, le piccole demolizioni. Non solo. Secondo Giovannini anche la mediazione, già sperimentata nel civile, potrebbe trovare casa pure al Consiglio di Stato e nei Tar con l’obiettivo di ridurre i tempi delle cause.
Per quanto, infatti, l’arretrato sia ancora diminuito nel 2014 (- 10% nei Tar, mentre al Consiglio di Stato cresce del 3%; si veda la tabella a fianco) a fronte di un aumento dei nuovi ricorsi ( oltre il 15% rispetto al 2013), è
A CURA DI LUIGI PAINI comunque necessario liberarsi del fardello delle cause pendenti se si vuole arrivare a processi più spediti. Come lo sono, per esempio, quelli sugli appalti o sulle Autorità indipendenti, riti speciali che in meno di due anni arrivano alla sentenza del Consiglio di Stato. Risultati positivi che dovrebbero, secondo Giovannini, essere estesi all’intero contenzioso amministrativo.
Questi auspicabili cambiamenti sono ben altra cosa rispetto a quei «rilievi e critiche anche accese, spesso dirette a invocare profonde riforme, quando non direttamente la soppressione della nostra giurisdizione». Il riferimento del presidente di Palazzo Spada è al « clima generale tutt’altro che favorevole» che anche nel 2014 ha messo sotto tiro la giustizia amministrativa e che ha toccato l’apice con la vicenda del torrente Bisagno di Genova, quando i disastri dell’alluvione sono stati imputati – a torto, ha commentato Giovannini – a lavori di bonifica non eseguiti per colpa dei ritardi del Tar.
Invece, «la scarsa efficienza delle pubbliche amministrazioni, i fenomeni di corruttela vasti e ramificati che quasi quotidianamente vengono alla luce, impongono la presenza – ha sottolineato il presidente del Consiglio di Stato – di un giudice amministrativo forte, indipendente e autorevole, un giudice “specializzato” che conosca a fondo le modalità di svolgimento dell’attività amministrativa e che così possa e sappia ricondurre l’agire dei pubblici poteri al rispetto del principio di legalità, rispondendo con tempestitività ed efficacia alla domanda di tutela giurisdizionale che gli è stata rivolta».
Consiglio di Stato e Tar hanno dimostrato, «pur con gli inevitabili chiaroscuri», di averlo fatto. Come quando sono di recente intervenuti sul caso di Eluana Englaro, spiegando l’inesistenza nel nostro ordinamento di un “diritto a morire”, ma affermando il diritto costituzionale al rifiuto delle cure come espressione di libertà assoluta, diritto non coercibile. Un problema grave che non può essere lasciato al solo giudice, ma – ha chiosato Giovannini – «richiederebbe un intervento attento e misurato del legislatore».
Il Sole 24 Ore – 6 febbraio 2015