La nota del direttore del Dipartimento funzionale di Sanità animale e Sicurezza alimentare dell’Ulss 4 Fabrizio De Stefani non è certo passata inosservata. Rifacendosi al regio decreto del 1928 le nuove regole per quell’Ulss dispongono che la macellazione a domicilio si possa fare solo se non ci sono impianti in grado di ricevere gli animali. Da qui la levata di scudi riferita negli articoli del Giornale di Vicenza che hanno sollevato un vero e proprio vespaio. Tra le contrarietà di produttori, amministratori pubblici e politici e la strenua difesa della sopressa (ritenuta sotto attacco mortale) l’attenzione mediatica non accenna a dimunire.
E ora c’è anche qualche voce che si schiera a favore del provvedimento. Ne escono cronache disseminate di dubbi, imprecisioni “giornalistiche” e rimpianti di usanze del “buon” tempo andato (che non sempre sembrano raccomandabili e compassionevoli in verità!). Su tutto un bel po’ di confusione. Sul sito dell’Ulss 4 le disposizioni “tradizionali”. Come sempre riportiamo gli ultimi articoli e… lasciamo ai nostri lettori le valutazioni del caso.
Il Giornale di Vicenza – 14 novembre – Macelli in casa? Usiamo il buon senso (prima – seconda)
Il Giornale di Vicenza – 15 novembre – No ai macelli in casa? Giusto
Il Corriere del Veneto – 15 novembre – Divieto di macellare in casa, ma nelle valli della sopressa ci sono solo Nino e Rosina
L’inutile protesta contro l’ordinanza dell’Usl: «Maiali non ce n’è più»
Abbiamo percorso due valli alla ricerca del maiale perduto, nella sua versione domestica almeno, quella allevata e amorevolmente custodita dietro casa, per scoprire che del maiale è stato buttato via tutto, memoria, uso e tradizione. Due degli ultimi esemplari viventi li vedete qui sotto in fotografia, a sinistra Nino e accanto la sorellina Rosina. Pesano 120 chili ciascuno, altri 60 e saranno trasformati in salsicce e cotechini. La location è riservata, il modo in cui finiranno insaccati anche.
Dopo l’editto con cui la Usl 4 dell’Alto Vicentino rinnova il divieto di macellazione in casa, i pochissimi allevatori rimasti si sentono anche loro specie clandestina, passibili di sanzioni e comprensibilmente si sono fatti prudenti: il maiale in casa è un peccato di gola, un cedimento alla nostalgia, il sopravvissuto di un’usanza barbara da non mostrare ai bambini.
Nino e Rosina ingrassano ignari del loro destino, ma non a Valli del Pasubio, bensì in un diverso ramo dell’alto Agno al riparo da occhi indiscreti e fuori dalla giurisdizione della Usl numero 4, invisibili anche alla Usl numero 5 che li dovrebbe sorvegliare e che orwellianamente non dovrebbe fare differenza tra i maiali salvo – come vedremo poi – scoprire che c’è sempre un maiale più uguale degli altri.
Diciamo che un salto di valle assicura alla bestia beniamina di Sant’Antonio Abate qualche probabilità in più di morire nella tradizione, con un coltello in gola cioé, festeggiato dalla famiglia e onorato per le scorte che concede. A dicembre si apre la stagione, con febbraio i suini ancora viventi accasati nelle nostre valli finiranno appesi nelle cantine sotto forma di sopresse.
A Valli del Pasubio, il paese sopra Schio che dell’allevamento casereccio e della sopressa ha fatto una sagra annuale e un marchio di fabbrica, dovrebbero essere disperati e invece se la ridono contenti. «La storia esplosa in questi giorni è un ballon d’essai – confessa il presidente della pro loco Lino Brandellero – il divieto di macellazione in casa è vecchio di anni. Però a noi fa piacere che si parli di Valli e del maiale». E di maiali in casa? «Ma non esistono più da tempo, non più da noi. Forse a Monte di Malo a San Vito, in certi posti dicono c’è ancora qualcuno che alleva il mas-cio in casa. Non qui, qui non me ne viene in mente uno. Ma lo sa cosa vuol dire allevare un suino? Comprare il lattonzolo, nutrirlo e già il mangiare costa più di quello che ti rende a venderlo. Per non parlare del personale che paghi per abbatterlo, dei soldi che devi a chi lo insacca, delle norme sanitarie da seguire. Una bestia di duecento chili ne produce sessanta di liquami e interiora da smaltire. Vallo a fare oggi un lavoro così. In ogni caso non si può fare.
Il dottor Fabrizio De Stefani (il dirigente della Usl 4 che ha firmato la famigerata circolare, ndr) con noi ha sfondato una porta aperta. Forse pensava a qualcun altro. A chi? «Mah, forse a certi contadini di Monte di Malo a San Vito, quelli che le dicevo».
Il sindaco di Valli, Armando Cunegato, non sa se dirsi contento del clamore o preoccupato. L’unica vittima certa di questa vicenda, a quanto pare, è il dottor De Stefani. Il dirigente della Usl è stato investito da una pioggia di critiche: accusato di voler uccidere una illustre tradizione valligiana, non si fa trovare e a chi gli ha parlato è sembrato molto scosso.
E’ colpevole di aver ricordato una legge regia del 1938, valida anche nella vicina valle dell’Agno, per il resto il funzionario ha un ottimo rapporto con la giuria della sagra di Valli alla quale ha concesso in deroga il privilegio di poter assaggiare le sopresse fatte in casa e perciò vietate alla commercializzazione.
In casa ormai si possono ammazzare solo zanzare e scarafaggi, tutto il resto del mondo animale è stato affidato a una filiera di professionisti che hanno cura della nostra igiene alimentare come della tranquillità delle nostre coscienze.«Ne avevo due di maiali, fino all’anno scorso – racconta Biagio Roso, 82 anni, veterano dei norcini di Valli e vincitore della miglior sopressa 2014 – mi costava di più allevarli che venderli. Ho smesso. I maiali si comprano negli allevamenti di pianura, a Verona, a Posina, posti dove ho visto duecento maiali mangiare in mezz’ora quello che io davo ai miei in una settimana. I bei tempi sono finiti, allora, quando tutti avevamo i campi, gli scarti del mais, delle patate, le croste di polenta avanzata e le castagne raccolte andavano a ingrassare il maiale. Adesso neanche le castagne si trovano più, gli alberi sono malati e il mangime costa troppo».
Così anche la valle non risuona più delle urla dei poveri maiali condotti a morte, quando la truce professione del norcino era tale solo in apparenza, dolce e beneagurante in realtà, rallegrava l’aia e incantava i bambini quando il mas-ciaro per ultimo staccava la vescica del porco e, gonfiatala con la bocca, ne faceva omaggio ai più piccoli. Allora la sopressa sapeva delle cose che il maiale aveva mangiato, di castagna se aveva mangiato castagne, di «zucca masciara» se aveva mangiato zucca. Ora sa tutto di tetrapak.
16 novembre 2014