Il dg Pavesi: «Accordo tra 46 sindaci: se c’è la volontà politica, le opere pubbliche si fanno». Acqua nell’atrio. Mentre a Padova politici di tutti i colori da oltre vent’anni litigano sull’ipotesi di un nuovo ospedale destinato a non vedere mai la luce, nel giro di tre anni e mezzo, e senza tante polemiche, è nato a Schiavonia, nella Bassa Padovana, uno dei primi poli d’Italia di ultima generazione.
Il complesso «Madre Teresa di Calcutta», che prende il posto dei «gemelli» di Este e Monselice (il trasferimento di pazienti e medici è in via di completamento), si sviluppa in orizzontale (tre edifici di due piani ciascuno su una superficie di 250 mila metri quadrati), per un totale di 434 letti (più 64 ambulatori), non organizzati in reparti ma distribuiti in quattro aree, contraddistinte dall’intensità di cura. Ovvero due degenze mediche ordinarie, Terapia intensiva e subintensiva. Così il paziente che si aggrava, o che migliora, non viene sballottato da un padiglione all’altro. Il tutto per un costo contenuto, 165 milioni di euro, sostenuto con il tanto demonizzato project financing. Prima pietra nel marzo 2010, inaugurazione ieri, alla presenza del gotha della sanità.
«Ciò dimostra che, se c’è la volontà politica, le opere pubbliche si fanno, e in fretta — ha detto Giovanni Pavesi, direttore generale dell’Usl 17 —. Qua opera un gruppo di persone che può fare anche l’ospedale di Padova, perchè la pubblica amministrazione è in grado di lavorare molto bene e anche intrattenendo rapporti di collaborazione e trasparenza con l’imprenditoria privata. Una sfida vinta per l’impegno e l’accordo di 46 sindaci, nessuno dei quali si è tirato indietro — ha incalzato il dg —. Sono rimasti compatti nel perseguire un obiettivo comune, cioè un ospedale unico per acuti al centro dell’Usl e una rete di Distretti e medici di base sul territorio, nel rispetto del Piano sociosanitario. E’ stata una scelta difficile e impopolare rinunciare agli ospedali sotto casa (Este, Monselice, Conselve e Montagnana, ndr), ma siamo riusciti a superare la logica del campanile, che deprime la qualità dell’assistenza».
E infatti il governatore Luca Zaia ha voluto «dare merito a tutti coloro che negli ultimi 50 anni hanno chiuso 40 piccoli ospedali in Veneto». «Il Madre Teresa di Calcutta è il futuro che noi vogliamo disegnare per la nostra sanità, a dispetto dei tagli del governo — ha spiegato il presidente —. Abbiamo saputo fare squadra, grazie alla capacità di 46 sindaci di fare sintesi nell’interesse dei cittadini. Un’altra lezione all’Italia litigiosa: la politica è una cosa, l’interesse delle persone è un’altra e per noi è prioritario». A Este come a Padova? «La partita del nuovo ospedale della città del Santo la chiudiamo velocemente, nel bene o nel male — ha assicurato Zaia —. Il 18 novembre ho convocato il tavolo tecnico, se si troverà l’unanimità sull’area in cui costruirlo bene, sennò è inutile continuare a parlarne». «Auspico che non ci siano tanti tagli e che non esista una sanità per ricchi e una per poveri — le parole del vescovo Antonio Mattiazzo —. Con tutte le tasse che pagano, i cittadini hanno diritto a chiedere una sanità equa. E io prego perchè i medici non commettano errori».
Tornando a Schiavonia, il sindaco di Monselice Francesco Lunghi, primario in pensione che però due volte alla settimana opera gratuitamente i malati di tumore, ha ricordato i due momenti chiave dell’operazione. «Negli anni ‘90 l’allora dg Nico Speranza dimezzò da 4 a 2 gli ospedali, lasciando a Montagnana e a Conselve la Riabilitazione e la Lungodegenza (mantenute oggi con 165 letti, ndr) — ha raccontato Lunghi —. Nel 2000 l’allora ministro della Sanità, Umberto Veronesi, parlò di polo unico. Poi edificato a Schiavonia perchè area centrale dell’Usl 17, servita dalla nuova statale regionale 10 e, a breve, dalla metropolitana di superficie. Lancio un appello a Zaia perchè quest’ultima veda presto realizzata la tratta Padova-nuovo ospedale della Bassa e perchè risolva l’assurdità di una futura statale regionale 10 a pagamento». Tutti felici e contenti, insomma, se non fosse stato per un’infiltrazione nell’androne: «Piove dentro!». Falso allarme e precisazione dell’Usl: «Solo una guarnizione da cambiare».
Ogni letto ha tv e Internet, farmaci smistati dal robot
Se lo vedi da fuori, il «Madre Teresa di Calcutta» non sembra un ospedale. Niente torri, niente croce del Pronto soccorso, niente padiglioni sparsi, bensì tre blocchi a due piani, dotati di 1850 posti auto gratis e immersi in 90 mila metri quadri di verde, con 650 alberi appena piantati. Sembra quasi un’azienda, valorizzata dal tetto a onde disegnato dall’architetto francese Aymeric Zublena (la stessa firma dello Stade de France), ma dentro è un’esplosione di tecnologia all’avanguardia (16 milioni di investimento). All’ingresso ci sono il Cup e un’ampia piazza (coperta da una vetrata con illuminazione ed aerazione regolabili), che ospiterà bar, farmacia, negozi e servizi. I 64 ambulatori sono raggruppati in un’unica area sulla destra, mentre a sinistra ci sono punto prelievi e dialisi. Per raggiungerli, i pazienti non dovranno attraversare l’area degenza, forte di 434 letti, 20 culle, 27 posti per la dialisi e 12 di osservazione al Pronto soccorso. Ci sono inoltre 10 sale operatorie, più una per i parti cesarei d’urgenza, 4 di Day Surgery e 4 per gli ambulatori chirurgici.
Le stanze, tutte col bagno, sono per il 45% singole e per il 55% doppie: in queste ultime tra i due letti c’è un divisorio a scomparsa, a tutela della privacy dei malati. Ogni posto letto è dotato di sistema di videochiamata all’infermiera, Internet, e-mail, tv via cavo e videogiochi. L’ospedale di Schiavonia è l’unico in Veneto e uno dei primi in Italia a non avere i reparti, ma quattro diverse aree suddivise in tre livelli di intensità di cura: due di degenza medica ordinaria , una di Terapia intensiva (20 letti) e una di Terapia subintensiva (18). La diagnostica può contare su tre sale Tac, due di Risonanza magnetica, due di Radiologia interventistica, sette di Diagnostica radiologica, dieci per l’ecografia, una per l’ecografia interventistica e due per la mammografia. Una «chicca»: la farmacia è gestita con un robot e un sistema pneumatico trasporta medicinali e campioni biologici nelle varie sezioni, evitando continui viaggi al personale. Il 70% delle dotazioni è nuovo.
L’altra peculiarità del «Madre Teresa di Calcutta» è il rispetto dell’ambiente, che consente pure di risparmiare il 27% di fabbisogno energetico. La produzione di acqua calda avviene tramite 810 metri quadri di pannelli solari termici, ai quali si aggiunge un impianto fotovoltaico da 70 Kilowatt per la produzione di energia elettrica. Riscaldamento in inverno e condizionamento in estate sono frutto di un impianto geotermico, mentre l’illuminazione interna ed esterna è completamente a led.
Michela Nicolussi Moro – Corriere del Veneto – 6 novembre 2014