di Gianandrea Gaiani. Difficile dire quanto possa pesare oggi la mobilitazione delle istituzioni italiane per Salvatore Girone e Massimiliano Latorre, dopo due anni in cui Roma è sembrata accettare supinamente gli abusi giuridici dell’India, incapace finora di formulare precisi capi d’accusa nei confronti dei due militari.
L’iniziativa d inviare una delegazione parlamentare a Nuova Delhi appare tardiva rispetto a una vicenda che si è trascinata tra continui rinvii, prima delle autorità giudiziarie del Kerala e poi della Corte Suprema, e appare oggi legata più alla necessità politica tutta italiana di non lasciare campo libero al M5S (che per primo aveva annunciato l’invio in India di propri parlamentari per avere chiarimenti dal governo indiano) più che a una strategia di pressione sulle istituzioni del Paese asiatico. Possibile che solo oggi si sia compreso che nella vicenda dei due fucilieri di Marina sono in gioco non solo gli interessi ma anche la credibilità nazionale? Pur contestando più volte la pretesa dell’India di applicare le proprie leggi in una vicenda accaduta in acque internazionali, l’Italia ha di fatto ha accettato la giurisdizione di Delhi partecipando alle udienze con i suoi avvocati e presentando ricorsi alla Corte Suprema, quando tutti i maggiori esperti di diritto internazionale (e tra questi il professor Natalino Ronzitti ai microfoni di Radio 24 ) hanno sottolineato in più occasioni che i militari non possono venire processati in Paesi stranieri per quanto compiuto durante il servizio. Dell’operato di Latorre e Girone risponde lo Stato italiano mentre i due marò, se hanno compiuto atti illeciti, ne renderanno conto alle autorità giudiziarie italiane. Una regola ben nota anche in India che nel 2008 rimpatriò dal Congo 12 ufficiali e 36 soldati del suo contingente di caschi blu, accusati di stupri e rapimenti di donne e bambine congolesi costrette poi a prostituirsi dentro le basi militari. Militari che in India hanno subito solo sanzioni risibili ma che Nuova Delhi non ha certo lasciato alla mercé del tribunale di Kinshasa. Roma ha invece accettato nei fatti l’abuso indiano di non riconoscere l’immunità funzionale dei due marò (rifiutandosi quindi di trattare Latorre e Girone come militari dello Stato italiano) e non ha voluto ricorrere all’arbitrato internazionale. Anche il pasticcio del marzo scorso, quando il governo Monti annunciò che i due marò non sarebbero rientrati in India al termine della cosiddetta “licenza elettorale” per poi tornare sui suoi passi e rispedire Latorre e Girone a Nuova Delhi, ha finito per rappresentare un atto senza precedenti, in cui uno Stato consegna suoi militari a un Paese straniero per farli sottoporre a processo. Le garanzie circa la non applicazione della pena di morte appaiono poi del tutto relative, non solo perché l’India sembra non voler tenere conto di quell’impegno, ma soprattutto perché il problema per l’Italia non è certo legato unicamente alla condanna che potrebbe essere inflitta a Latorre e Girone. Pena capitale a parte, una condanna a 10 o 30 anni di reclusione, per giunta da scontare in un carcere indiano, verrebbe forse considerata accettabile? Se le perizie balistiche raffazzonate e le testimonianze contraddittorie e più volte rettificate dell’equipaggio del peschereccio Saint Antony inducono a ritenere che Latorre e Girone siano innocenti (come ha apertamente sostenuto più volte il Ministro della Difesa, Mario Mauro) resta però inaudito che Roma abbia accettato addirittura di affrontare un processo presso un “tribunale speciale” istituito dalla Corte Suprema e dal governo indiano. Un tribunale la cui valenza politica è dimostrata, proprio in questi giorni, dall’aspro dibattito in corso tra i ministeri indiani di Esteri, Giustizia e Interni circa la legge da applicare per le imputazioni a Latorre e Girone. È stato chiarito che l’ultima parola spetta al dicastero degli Interni ma in quale Paese dove sia vigente lo Stato di diritto sono i ministri, cioè i membri del governo, a stabilire le imputazioni nei tribunali? Inutile farsi illusioni sulle possibilità che la solidarietà chiesta dall’Italia all’Unione Europea, anche se dovesse concretizzarsi, possa avere un peso reale sulle decisioni di Nuova Delhi, così come è improbabile che venga accolta la richiesta italiana di rimpatriare Latorre e Girone fino all’avvio del processo. Secondo la stampa indiana la polizia investigativa indiana (Nia) avrebbe già ricevuto il via libera dal ministero dell’Interno per presentare i capi di accusa in base al Sua Act, la legge antipirateria e antiterrorismo che prevede la pena di morte in caso di verdetto di colpevolezza per omicidio. Le imputazioni verrebbero rese note nell’udienza del 3 febbraio, dove la Corte Suprema ha chiesto la presenza in aula di Latorre e Girone, assenti nelle precedenti udienze. Il rischio è quindi che tra una settimana la Nia possa chiedere il loro arresto o una forma di custodia esterna all’ambasciata italiana di Delhi dove vivono i due marò. Un’ipotesi agghiacciante che dovrebbe indurre Roma a valutare l’ipotesi di attivare ogni strumento utile a riportare a casa Latorre e Girone.
Il Sole 24 Ore – 28 gennaio 2014