E ci si interroga sull’accordo raggiunto in Lombardia, che per molti è da rivedere. Il rischio di nuove multe latte sembra allontanarsi anche per la campagna di produzione in corso, quella iniziata in aprile e che si concluderà il 31 marzo del 2014.
Sì, perché i primi dati sulla produzione di latte in Italia nei mesi da aprile a giugno sono tutti con il segno meno davanti. Ma non c’è da rallegrarsene. L’aver lasciato sul campo rispetto allo scorso anno 2,79 milioni di tonnellate, il 4,20% della produzione di latte, è un chiaro sintomo delle difficoltà che stanno vivendo i nostri allevamenti. Da una parte il continuo aumento dei costi di produzione e dell’alimentazione degli animali in particolare, dall’altra un prezzo del latte che non ripaga nemmeno le spese, mettono in forse la sopravvivenza degli allevamenti da latte. In più molti allevatori devono fare i conti con le multe pregresse, che si continuano a pagare sebbene a rate. E prima o poi arriverà il conto anche per chi le multe è riuscito sino ad oggi ad evitarle. Chissà che il calo della produzione di latte non celi fra le sue pieghe anche la chiusura di qualche stalla dei “cobas”? Ma le cause, come detto, sono tutte da cercare nelle difficoltà di mercato e nell’assenza di politiche di sostegno della nostra zootecnia. Basta ricordare che nel volgere di venti anni le stalle da latte in Italia si sono ridotte dalle 200mila registrate da Istat nel 1990 alle 50mila che ancora hanno il coraggio di portare avanti la produzione.
Produrre in perdita
Perché ci vuole coraggio a rimanere sul mercato quando il latte viene pagato 42 centesimi al litro (come sancito dall’ultimo accordo siglato in Lombardia fra industrie e allevatori), mentre produrre quello stesso latte costa oltre 50 centesimi, come molti studi economici dimostrano (ricordiamo quelli del Crpa di Reggio Emilia). Un quadro desolante dal quale si salvano solo gli allevamenti che hanno la possibilità di indirizzare il loro latte alla produzione di formaggi tipici, Grana Padano e Parmigiano Reggiano soprattutto. Per loro prezzi più alti, in linea con l’andamento di mercato di questi formaggi. Grazie soprattutto agli investimenti sull’export e alla possibilità di programmare la produzione (un frutto prezioso del “pacchetto latte” varato da Bruxelles), entrambi questi formaggi stanno raccogliendo risultati nel complesso soddisfacenti. Il Parmigiano Reggiano naviga a 8,85 euro il chilogrammo per le stagionature di 12 mesi e oltre, in pratica sui buoni livelli dello scorso anno. Solo qualche cedimento per il Grana Padano che rispetto a dodici mesi fa ha perso circa un euro al chilo, fermandosi a 7,85 euro, ma è lo “scotto” di un sensibile incremento delle produzioni dopo gli alti prezzi raggiunti nel 2011. Per fare questi formaggi, come tutti gli altri Dop, è però necessario il latte italiano e non è un caso se le quotazioni del latte spot (quello venduto fuori contratto) ha superato sulla piazza di Lodi i 51 centesimi al litro. Persino il latte di importazione che arriva dalla Germania sta facendo registrare valori prossimi ai 50 centesimi.
Un accordo da rivedere
Queste “fibrillazioni” del mercato libero, allineate a ben guardare con il calo della produzione interna, hanno riaperto le discussioni fra chi ha firmato l’accordo per il prezzo del latte in Lombardia (Confagricoltura e Cia) e chi al contrario da quell’accordo si è dissociato (Coldiretti). Così l’assessore lombardo all’Agricoltura, Gianni Fava, che tanto ha lavorato per il raggiungimento di quell’accordo, ha rivolto un invito agli industriali del settore lattiero caseario chiedendo loro di “chiudere in fretta la vertenza sul prezzo del latte anche con chi è rimasto fuori dall’accordo di luglio, rendendo così equa la quotazione per tutti i produttori.” Analoga la posizione del presidente di Copagri Lombardia, Roberto Cavaliere, che ha chiesto una riapertura del tavolo sul prezzo del latte. Saranno ascoltati? C’è da dubitarne.
Agronotizie – 2 settembre 2013