A gennaio il tasso di disoccupazione risale all’11,1% (nell’area Euro rimane stabile all’8,6%). Ci sono 64mila persone in più che si sono rimesse in cerca di un impiego (scende infatti il numero di inattivi, tra cui moltissimi scoraggiati, -83mila unità, in un mese, soprattutto donne e under25 – un dato fisiologico in una fase espansiva dell’economia). L’occupazione fa un piccolo balzo in avanti, 25mila lavoratori in più, a gennaio su dicembre, +156mila, nel confronto tendenziale; ma si confermano essenzialmente rapporti di impiego a termine, complice la fine degli sgravi generalizzati targati Jobs act (i dipendenti permanenti, vale a dire gli assunti con un contratto a tutele crescenti, sono in calo, -12mila posizioni, sul mese, -62mila, sull’anno – un andamento che si registra nelle statistiche da fine 2017).
Il tasso di occupazione femminile sale al livello record del 49,3% (si resta comunque ben 17,7 punti sotto rispetto al 67% degli uomini). Prosegue il miglioramento per i giovani: il tasso dei senza lavoro tra gli under25 cala, nuovamente, e si attesta al 31,5%, ai minimi da dicembre 2011 (in Eurolandia, tuttavia, l’Italia resta terz’ultima, peggio di noi solo Grecia, 43,7%, ultimo dato, novembre, e Spagna, 36% – rimaniamo, peraltro, lontanissimi dai primi della classe, la Germania, sostanzialmente stabile al 6,6%, grazie al sistema di formazione duale).
Le fotografie scattate, ieri, dall’istituto guidato da Giorgio Alleva, e da Eurostat confermano un inizio 2018 con luci e ombre per il mercato del lavoro italiano: nei 12 mesi ci sono 106mila under25 occupati in più; +61mila, nel solo raffronto con dicembre: «Un dato che evidenzia i primi risultati di Garanzia giovani e degli incentivi legati all’inserimento dei ragazzi più in difficoltà», ha commentato il professor Maurizio Del Conte, numero uno di Anpal. Prosegue poi la crescita degli over50 (+335mila occupati sull’anno), per effetto delle recenti riforme pensionistiche.
Certo, su 347mila occupati dipendenti in più, in un anno, ben 409mila sono lavoratori precari (quelli a tempo indeterminato scendono, come detto, di 62mila unità); ed è probabile, pure, che diversi autonomi (-191mila sull’anno, -29mila sul mese) siano transitati nell’occupazione dipendente (benché a termine).
Il punto, ma questo è un dato Inps, è che le attivazioni stabili sul totale dei nuovi contratti si sono ormai ridotte al 23,2% (nel 2015, con gli incentivi pieni, si toccava quota 42 per cento). Inoltre, per la fascia mediana, 35-49 anni d’età, la situazione resta critica, con una contrazione dell’occupazione, nel tendenziale, di ben 237mila unità: «Qui si scontano i processi di ristrutturazione e riorganizzazione aziendale ancora in corso in alcuni settori della manifattura – ha spiegato l’economista, Carlo Dell’Aringa -. Stiamo percorrendo comunque un sentiero di crescita: la disoccupazione risale perché intercetta inattivi che si rimboccano le mani. E, in questa fase, le imprese utilizzano di più i rapporti a termine anche come periodo di prova in vista della successiva stabilizzazione con i nuovi sgravi».
Per il governo il bicchiere resta mezzo pieno: «È dalla metà dello scorso anno – ha commentato il ministro del Lavoro, Giuliano Poletti – che ci si attesta su un numero complessivo di occupati superiore ai 23 milioni, risultato che non si raggiungeva da ottobre 2008. Rispetto a febbraio 2014 (data di inizio del governo Renzi, ndr) gli occupati sono 899mila in più, i disoccupati 374mila in meno, gli inattivi 870mila in meno».
Diamentralmente opposto il giudizio dell’economista di Fi, Renato Brunetta: «Il nostro tasso di disoccupazione risale all’11,1%, mentre la Germania tocca il minimo storico del 3,6%. I governi Renzi-Gentiloni hanno fallito». Dure le parole anche della Cgil, che con Tania Scacchetti parla di «crescita esclusiva del lavoro precario, debole e di breve durata».
Il fatto è che «servono incentivi strutturali per rilanciare l’occupazione stabile e di qualità», ha ribadito Cesare Damiano (Pd). Non solo: «C’è bisogno anche di un quadro politico più chiaro – ha aggiunto Gigi Petteni, Cisl -. Solo così, e sfruttando la ripresa, si mettono le imprese in condizione di creare lavoro duraturo».
Claudio Tucci – Il Sole 24 Ore – 2 marzo 2018