Sempre più la ricerca si interessa agli stimoli ambientali che influenzano la nostra percezione del cibo. Recentemente ci eravamo occupati della colorazione delle etichette (il verde sembra favorire un’idea più sana del cibo, a parità di fattori).
O del modo in cui sono scritte le frasi –sempre in etichetta- che risultano attivare percorsi di comprensione del cibo inediti, anche a seconda dell’abbinamento ad alcuni cibi piuttosto che ad altri (ad esempio, messaggi salutistici su alimenti “gustosi” vengono “rigettati”). Alla Cornell University poi, il Food Lab di Brian Wansink si occupa storicamente di come stimoli esterni e ambientali (dimensioni piatto, stoviglie, colori) influisce sulla quantità di cibo consumato, o sulla percezione positiva.
Noti sono gli studi sul colore “rosso” delle patatine (che ne limiterebbe il consumo), sulle mele con i personaggi dei cartoon sopra, a mo’ di bollino, ed in grado renderle accettabili ai bimbi. Storici gli esperimenti poi sulle dimensioni dei cucchiai, ciotole e piatti, ma anche bicchieri: più grande è la stoviglia, maggiore sarà il consumo in ragione della “corretta” quantità implicitamente suggerita.
Ora una nuova frontiera della behavioral economics si interroga- con risultati sorprendenti- sulla capacità che le stoviglie- piatti, bicchieri, posate- determinino una percezione diversa del cibo che ci sta di fronte.
In base ad una ricerca pubblicata sul Flavour Journal, le dimensioni, forma, colore e peso delle stoviglie infatti avrebbero la capacità di modificare in profondità la percezione organolettica del cibo che ci viene somministrato. Gli autori, in particolare, si soffermano sulle posate. In base ai risultati, lo yogurt se consumato con un cucchiaio leggero di plastica viene percepito come più denso e costoso, rispetto ad un cucchiaio più pesante.
Inoltre, il cibo appare più salato se consumato con coltello, piuttosto che con altre posate.
Lo scopo
L’obiettivo della ricerca, come si legge dalle premesse, è in realtà nobile: siccome è difficile mutare abitudini radicate dei consumatori, in particolare circa cibi poco sani, possono risultare utili interventi di social marketing che utilizzino stimoli ambientali. Come le posate. Arrivando così a trasmettere una percezione immediatamente “peggiorativa” dei cibi meno sani e per contro “migliorativa” dei cibi “meno appetibili”. Arrivando insomma a “ribilanciare la dieta”.
Le intenzioni sono nobili. Anche se in realtà con gli stessi stimoli subliminali (che aggirano quindi la sfera della consapevolezza vera e propria) si può arrivare ad un marketing molto raffinato: in grado di vendere come sani prodotti altrimenti criticabili sotto il profilo nutrizionale. Fantascienza? Non proprio. Se consideriamo come la “etichetta nutrizionale verde”, nota per promuovere a livello subliminale un’idea più salubre del cibo che accompagna, sia usata da aziende del junk food per vendere barrette e snack dal “dubbio”valore nutrizionale.
Certo lo studio è stato fatto solo con immagini da computer, senza uno “stimolo” reale. Interessante però osservare come oltre ad aspetti gustativi sia stato valutato anche il fattore prezzo.
Tutte leve insomma che non solo possono spingere i consumatori a scegliere un prodotto al posto di un altro, ma anche a pagare un prezzo superiore, di fatto per lo stesso prodotto, a seconda di come venga presentato. Tutte informazioni ovviamente preziose per i responsabili marketing. Ma il consumatore, rischia di perderci, in una giugla sempre più intricata di messaggi, codici e informazioni, spesso oltre il proprio controllo
Sicurezza Alimentare Coldiretti – 16 luglio 2013