Ventiduemila dipendenti della sanità ligure costretti a portare addosso un microchip elettronico grande quanto una lenticchia, nascosto dentro le cuciture dei camici e delle divise. Anche se nessuno li ha avvertititi. Tantomeno ha informato le organizzazioni sindacali. Medici, infermieri, tecnici, operatori sanitari, barellanti, uscieri, operai, perfino gli specializzandi e gli allievi infermieri, tutti coloro che lavorano in divisa, “monitorati” dal localizzatore Gps. Esclusi solo gli amministrativi. In ogni momento e durante le ore di servizio, quel micro trasmettitore inserito in ciascun camice emana un segnale elettronico, permette di sapere dove si trova una certa “divisa”. E chi la indossa.
«Il camice e il microchip identificano la persona, sono associati a quel dipendente — spiega in buonafede Luigi Bottaro, direttore della Asl Tre Genovese — in modo che i capi, dopo essere stati lavati, tornino alla base di partenza, cioè ai proprietari. Per evitare, così, che possano finire ad altri ».
Queste le spiegazioni fornite dalle direzioni di tutti gli ospedali e delle Asl della Liguria. I dipendenti, però, non sono convinti che questa sia la vera ragione. Imputano al localizzatore una grave violazione della privacy e un controllo “fuorilegge” sul posto di lavoro. Si sentono spiati. Inoltre, il sindacalista Tullio Rossi dell’ospedale Galliera — di cui è presidente il cardinale Angelo Bagnasco, a capo della Conferenza Episcopale Europea — per aver scoperto il bottoncino nascosto dentro la cucitura della camicia della sua divisa da portiere, ed averla tagliata per capire cos’era, è stato sottoposto a procedimento disciplinare.
I rappresentanti dei lavoratori hanno scritto una dura lettera alle amministrazioni, sostenendo che “il personale dipendente è turbato per avere appreso casualmente della presenza di questo insolito oggetto identificativo…”. Peraltro, sono preoccupati che “la presenza di più microchip a contatto con varie parti del corpo costituisca un rischio per la salute…”. Qualcuno, infatti, potrà averne addosso anche tre contemporaneamente: uno nella camicia, uno nei pantaloni, l’altro nella giacca.
Tullio Rossi è stato invitato a presentare una memoria difensiva: «L’ho staccato per farlo controllare da un tecnico, affinché venisse analizzato e stabilire l’eventuale incompatibilità con gli organi del corpo». Un medico ha chiesto lumi ai colleghi del reparto di Fisica Medica, ha saputo che il dispositivo è come un Gps, simile a quello che si monta sulle auto per localizzarle.
Il microchip fa parte di un mega appalto da 66 milioni di euro per il lavaggio di tutti gli indumenti di lavoro degli ospedalieri. La gara, per la durata di 48 mesi (rinnovabili di altri 36) è stata vinta dalla ServiziItalia (Parma). L’appalto unico è stato espletato dall’Azienda Ligure Sanitaria, al cui vertice il presidente della Regione, Giovanni Toti (Fi) e l’assessore regionale Sonia Viale (Lega Nord) hanno messo il milanese Walter Locatelli, manager importato dalla sanità lombarda. Pare che l’idea dei microchip sia stata proprio sua. I i direttori delle altre aziende sanitarie e degli ospedali si sono adeguati.
Il direttore sanitario dell’ospedale San Martino (il più grande della Liguria) assicura che non si tratta assolutamente di monitoraggio dei dipendenti: «È stato introdotto principalmente per evitare di perdere gli indumenti — spiega Giovanni La Valle — poi per controllare i lavaggi dell’abbigliamento e verificare che siano stati fatti».
Non è così, per i rappresentanti sindacali. «Per controllare gli indumenti ci sono già le targhette — ribatte Tullio Rossi — : con nome e cognome del dipendente e i codici a barre».
Repubblica – 31 luglio 2017