Valentina Santarpia, Il Corriere della Sera. Decine di zaini e pc appoggiati a terra in piazza Unità d’Italia a Trieste, 500 persone radunate in piazza del Popolo a Roma, una distesa di cartelle colorate e il suono di decine di campanelle davanti al Duomo di Milano. Si è celebrata così, con manifestazioni in 34 città, la prima giornata no Dad in Italia. A protestare contro la didattica a distanza sono stati insegnanti, genitori, alunni, associazioni, in ordine sparso e più o meno organizzati sotto l’egida della Rete nazionale delle scuole in presenza, ma con un obiettivo unico: chiedere la ripresa delle lezioni in presenza.
«Non tollereremo che si rimandi l’apertura oltre l’8 aprile né che la didattica a distanza venga adottata come soluzione a lungo termine», è il messaggio. A pesare sulle spalle di chi ieri innalzava i cartelli c’è un intero anno di pandemia. Secondo l’associazione presidi, «a causa delle connessioni Internet ballerine», circa un quarto della popolazione studentesca italiana «ha difficoltà con la Dad», soprattutto al Centro-Sud.
Nonostante gli sforzi di dirigenti, docenti e famiglie, l’8% degli studenti è rimasto escluso da una qualsiasi forma di didattica a distanza. Una quota che sale al 23% tra i disabili. Save the children ha stimato che 1,3 milioni di ragazzi vive in povertà assoluta, uno stato economico che si riflette sulla povertà educativa. Esemplifica Alessandra Laterza, libraia di Tor Bella Monaca, Roma: «In qualunque periferia una scuola aperta è un presidio di legalità e sicurezza, un modo per allontanare i bambini dalle piazze dello spaccio». Il rischio della Dad è perdere per strada gli studenti fragili, ma anche di indebolire tutti gli altri. «Quello che dobbiamo tutelare è la salute mentale dei ragazzi», ha spiegato Anna Acuti, mamma di due figli, a Milano. «La scuola non è fonte di contagio — dice Selma De Mitri, mamma di quattro ragazzi —. I miei figli piangono ogni giorno perché gli manca la vita sociale». Per Giuseppe Delle Vergini, Firenze, padre di tre figli, «la scuola chiusa è un danno al Paese». La sensazione diffusa nelle piazze della protesta è che da parte del governo non ci sia attenzione: «È inerzia delle istituzioni», dice Mario Pau, del comitato A Scuola. Ma il ministro dell’Istruzione Patrizio Bianchi, a Che tempo che fa, ieri sera ha assicurato: «Abbiamo chiuso solo perché la variante inglese ha messo in pericolo i più piccoli. Ma la scuola non si è mai fermata». La tesina di terza media e il lavoro finale da discutere per la maturità «saranno in presenza». E si sta «già lavorando perché il prossimo sia un anno costituente che riporti la scuola al centro. Sarà una scuola in grado di far capire la complessità del mondo» ma anche «affettuosa», in cui si torni alla socialità.