Arriva così la prima condanna per il 26enne pregiudicato, ritenuto l’autore del raid, in coppia con Ciro Afeltra, dell’omicidio del 27enne Carlo Cannavacciuolo, reo di aver tentato di sfuggire ad una rapina, nel doppio ruolo di parte offesa e imputato.
Il suo nome è balzato alle cronache nazionali per essere il principale indiziato per un omicidio efferato ai danni di un giovane di Santa Maria la Carità sotto gli occhi della sua fidanzata. E anche lui era stato vittima, a sua volta , di un raid armato. Fu fortunato e i proiettili non gli furono fatali. Nonostante questo però decise di mentire ai carabinieri quando gli chiesero se avesse riconosciuto chi aveva esploso quei colpi che sarebbero potuti diventare mortali.
Per questo motivo è stato condannato insieme al suo aggressore. Un anno di condanna per l’accusa di favoreggiamento, comminati ai danni di Violanto Petrucci, a giudizio dinanzi al giudice monocratico della sezione distaccata di Gragnano, del tribunale di Torre Annunziata, insieme al suo aggressore Filippo Sabatino, accusato di lesioni gravi e condannato a tre anni di carcere.
Arriva così la prima condanna per il 26enne pregiudicato, ritenuto l’autore del raid, in coppia con Ciro Afeltra, dell’omicidio del 27enne Carlo Cannavacciuolo, reo di aver tentato di sfuggire ad una rapina, nel doppio ruolo di parte offesa e imputato. Una doppia veste guadagnata per le reticenze della sua testimonianza resa agli investigatori sulle tracce del suo aggressore. Lo scorso maggio infatti «Nandino» Petrucci venne avvicinato da un giovane che gli sparò con il preciso intento di gambizzarlo.
Colpi precisi, indirizzati alle gambe, per dare una lezione nel gergo tristemente noto delle organizzazioni criminali. Le ferite non furono fatali a Petrucci che venne subito interrogato dagli investigatori. Alle domande per cercare di identificare il suo aggressore si guardò bene dal rispondere sinceramente tentando di depistare le indagini. Ai militari che lo interrogarono dichiarò infatti di non aver riconosciuto chi aveva esploso i colpi.
Mentendo secondo le indagini visto che poi da successive intercettazioni ai suoi danni, gli investigatori scoprirono che conosceva perfettamente chi gli aveva sparato.
A raccontarlo ieri in aula è stato il maresciallo dei carabinieri che aveva condotto le indagini risalendo dall’intercettazioni alla persona a cui si riferiva Petrucci. Nel corso di una telefonata confidò che a sparargli era stato un certo Filiù, soprannome con il quale è stato identificato proprio l’altro imputato Sabatino.
Una telefonata che di fatto ha svelato sia il nome dell’aggressore che le bugie dette da Petrucci agli investigatori che hanno poi scoperto che l’aggressione era legata allo spaccio di droga sui Monti Lattari. Dopo aver subito questa condanna, Petrucci dovrà difendersi dalla più pesante accusa di omicidio aggravato per il quale la procura oplontina sta per apprestarsi a chiedere il rinvio a giudizio.
Il Mattino – 13 maggio 2012