Così cambia l’amministratore. Rebus conciliazioni e lavori. Le nuove regole entrano in vigore a partire dal 18 giugno prossimo. Per chi non rispetterà le norme possibili sanzioni fino a 800 euro
Il 18 giugno entra in vigore la riforma dello statuto condominiale. Un cambiamento epocale, perché interessa tutti gli italiani che non vivono in case indipendenti, e perché gli articoli del Codice civile che regolavano la vita dei condòmini sopravvivevano dal 1942. Si generavano così anacronismi e aberrazioni di cui spesso approfittavano i “furbetti del pianerottolo”.
Basti pensare che chi non rispettava il regolamento condominiale era sottoposto a una sanzione massima di 100 lire, mentre ora si va dai 200 agli 800 euro. Quanto ai morosi, non avranno più vita facile visto che l’amministratore dovrà comunicare ai creditori i loro nominativi. I creditori, inoltre, potranno agire nei confronti dei condomini in regola solo dopo essersi fatti valere su quelli non paganti. L’amministratore, trascorsi sei mesi di morosità, potrà sospendere il debitore dalla fruizione dei servizi comuni a godimento separato (tipo piscina o parcheggio) e avrà l’obbligo di recuperare le rate condominiali non riscosse (pena la sua responsabilità), anche con decreto ingiuntivo provvisoriamente esecutivo Come dire che nei casi estremi si potrebbe iscrivere un’ipoteca sulla casa del debitore.
Gli amministratori, dal canto loro, dovranno vantare competenze certificate e i conti dovranno essere sempre in ordine. “La riforma è positiva anche se da migliorare – spiega Aldo Rossi, segretario nazionale del Sunia, il Sindacato unitario inquilini e assegnatari – Ha aumentato il livello di trasparenza amministrativa, con l’obbligo da parte dell’amministratore di aprire un conto corrente dove far transitare il denaro del condominio; di tenere registri contabili, anagrafici e di bilancio e di attivare un sito internet del condominio qualora l’assemblea lo richieda. Viene inoltre introdotta la figura del revisore dei conti, nominato dall’assemblea. L’amministratore, su richiesta dell’assemblea, dovrà essere coperto da assicurazione professionale, anche se noi avremmo preferito fosse obbligatoria”.
La gestione diventa quindi più impegnativa, specialmente se si tratta di Supercondominio, ossia più condomini che usufruiscono di spazi e servizi comuni. “Nelle grandi realtà, comunque, vengono in aiuto i consiglieri di condominio, formalizzati per la prima volta nella riforma – aggiunge Rossi -. Positivo inoltre che l’amministratore dei piccoli condomini, magari un pensionato con la passione per i numeri, non debba rispettare le stesse regole, in termini di certificazione delle competenze, di un amministratore dei complessi maggiori”.
Eppure fino a oggi, piccoli o grandi che siano, i condomini vengono spesso mal gestiti, e così si spiega la particolare attenzione che la riforma dedica all’amministratore: “Abbiamo fatto un’indagine, scoprendo la scarsa professionalità di molti operatori del settore e la poca considerazione che alcuni di loro rivolgono alle nuove normative – dice Alberto Zanni, presidente di Confabitare, associazione dei proprietari immobiliari -. Con la riforma si è voluto tutelare maggiormente i condòmini che potranno, almeno sulla carta, far valere i propri diritti nei confronti degli amministratori”. Va in questo senso il divieto di delegare l’amministratore stesso a rappresentare gli inquilini in assemblea, una nuova regola che rimuove un palese conflitto d’interessi.
Sunia e Confabitare sottolineano però alcuni punti perfettibili della riforma, come il fondo per i lavori straordinari: se la ditta che esegue le opere dilaziona i pagamenti, come in genere avviene, secondo le associazioni è assurdo che l’inquilino debba pagare tutto in anticipo. La costituzione del fondo dovrebbe quindi adeguarsi alla soluzione di pagamento adottata, prevedendo anche l’opzione delle rate a scadenza. Altro punto in sospeso è quello della conciliazione nelle controversie condominiali: “Secondo la riforma è obbligatoria, ma una sentenza della Consulta l’ha dichiarata illegittima – spiega Rossi – . A questo punto devono intervenire Parlamento e governo”.
Repubblica – 3 giugno 2013