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Multa per i troppi contratti a termine. Scatta la sanzione amministrativa per superamento del limite del 20% del personale

La disciplina Confermata la durata massima di 36 mesi con la possibilità di stipulare un nuovo rapporto davanti alla Dtl. Sul contratto a termine lo schema di decreto legislativo approvato dal Consiglio dei ministri del 20 febbraio chiarisce che il superamento del plafond di utilizzo è soggetto solo alla sanzione amministrativa.

Quanto alle regole di funzionamento del contratto a tempo determinato – durata, proroghe, rinnovi – lo schema di Dlgs contiene poche modifiche. Si tratta di una scelta opportuna, in quanto questo contratto è stato interessato da una profonda revisione solo lo scorso anno (con il Dl34/2014); non avrebbe senso approvare una nuova riforma, anche perchè le regole attuali hanno mostrato di funzionare bene.

Lo schema di decreto legislativo mantiene, quindi, la disciplina attuale, imperniata su un doppio limite, quantitativo e di durata. Viene confermato il tetto di durata massima del lavoro a termine (inteso come rapporto diretto oppure come missione resa nell’ambito di un contratto di somministrazione a tempo determinato) pari a 36 mesi, anche non continuativi.

La legge stabilisce che nel conteggio entrano i periodi svolti per «mansioni equivalenti»: questo riferimento, contenuto nella normativa attuale, pare alquanto impreciso e ormai superato dalla scomparsa della causale e si presta a potenziali abusi.

Una volta scaduti i 36 mesi, il progetto di riforma conferma la regola che consente di stipulare un ulteriore contratto a termine, mediante una speciale procedura di convalida davanti alla direzione territoriale del Lavoro. Questo contratto ulteriore può avere una durata di 12 mesi (periodo più lungo di quello previsto oggi sulla base degli accordi interconfederali vigenti).

Confermata anche la disciplina dei limiti quantitativi: i rapporti a termine non possono superare il 20% dei lavoratori assunti a tempo indeterminato al 1° gennaio e se l’attività inizia nel corso dell’anno, il riferimento è all’organico presente alla data dell’assunzione. La nuova formulazione della norma sembra rimuovere il dubbio sul criterio di calcolo dei contratti a termine (per testa, oppure come media) sorto a seguito della riforma dello scorso anno.

Resta confermata anche la possibilità per i contratti collettivi di qualsiasi livello di modificare il tetto numerico.

Una innovazione importante riguarda, come detto, il regime sanzionatorio. La riforma dello scorso anno ha introdotto una sanzione amministrativa, applicabile ai casi di superamento del limite quantitativo, di importo pari al 20% della retribuzione per ciascun mese o frazione di mese superiore a 15 giorni di durata del rapporto, se lo sforamento del tetto quantitativo interessa solo un lavoratore; la sanzione sale al 50% per i lavoratori che determinano uno sforamento ulteriore della soglia legale o contrattuale.

Questa innovazione, al momento dell’approvazione della riforma dello scorso anno, aveva scatenato un intenso dibatto tecnico, in quanto non si comprendeva se la nuova sanzione avesse un carattere sostitutivo della conversione del contratto (come emergeva dai lavori parlamentari) o se invece avesse un carattere aggiuntivo rispetto alle sanzioni esistenti, che restavano in vita (come suggeriva il testo letterale della norma, frutto di un percorso di approvazione molto frettoloso). Lo schema di decreto risolve questo dubbio chiarendo che, per il solo caso del superamento dei limiti quantitativi, non si applica la conversione del rapporto a termine, ma solo la sanzione amministrativa.

Restano confermate le norme che regolano il diritto di precedenza, il principio di non discriminazione, il diritto alla formazione, i criteri di computo dei lavoratori a tempo. Non cambia inoltre, in tema di decadenze, il termine di 120 giorni per impugnare in via stragiudiziale il rapporto a tempo determinato. Tale periodo decorre dalla fine di ciascun contratto.

Viene confermato, per i casi di violazione delle regole di utilizzo del lavoro a termine, il regime ancorato su una doppia sanzione: conversione del rapporto a tempo indeterminato (salvo i casi di superamento dei limiti quantitativi, come già spiegato) e pagamento di un risarcimento del danno di importo variabile tra le 2,5 e le 12 mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto.

Lo schema di decreto chiarisce che tale risarcimento ristora per intero il pregiudizio del lavoratore, comprese le conseguenze retributive e contributive relative al periodo compreso tra la scadenza del termine e la decisione giudiziale.

Infine, va notato che la riforma cancella i regimi speciali previsti per il settore postale e i servizi aeroportuali, che erano nati come eccezioni a un contesto – l’obbligo della causale – ormai scomparso. relative al periodo compreso tra la scadenza del termine e la decisione giudiziale Cancellati i regimi speciali previsti per il settore postale e i servizi aeroportuali possibilità per il Ccnl di modificare la soglia In caso di conversione della somministrazione a termine si applicano i tetti risarcitori compresi tra 2,5 e 12 mensilità Scompare la possibilità di ammettere, mediante accordo sindacale, l’utilizzo del lavoro somministrato nei casi di crisi aziendale Cancellato il diritto dei somministrati all’informazione sui posti vacanti in azienda Eliminato l’obbligo per l’utilizzatore di comunicare il trattamento economico da applicare al dipendente Cancellata la norma che escludeva l’applicazione del diritto di precedenza nella somministrazione di lavoro Eliminata la possibilità di pattuire un compenso per i servizi resi dall’agenzia per la formazione del lavoratore, nel caso in cui l’utilizzatore assuma il lavoratore al termine della missione.

Il Sole 24 Ore – 25 febbraio 2015

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