Gianni Trovati, Il Sole 24 Ore. Il negoziatore. Antonio Naddeo:?«Sul tavolo anche la riforma degli ordinamenti per adeguarli alle nuove esigenze. Prima rivediamo l’architettura della Pa, e su questa base misuriamo i fondi aggiuntivi necessari»
Tra le abitudini praticate dal ministro per la Pa Renato Brunetta non c’è la mediazione. Nei primi due mesi del suo secondo giro alla Funzione pubblica ha messo in agenda il ridisegno della Pa per adeguarla al compito titanico di attuare il Recovery Plan, la riforma dei concorsi per misurare in settimane e non in anni la durata delle selezioni e il rinnovo in una manciata di mesi dei contratti nazionali di lavoro. L’obiettivo è «sfidante», come dice il linguaggio convenzionale dei manuali di management. L’esito non è certo. Ed è affidato a un dirigente che della mediazione ha fatto un mestiere. Antonio Naddeo conosce la macchina della Pa come pochi. Dal giugno 2019 è presidente dell’Aran (di cui è stato commissario fra 2009 e 2011), e ha in tasca un ricco curriculum maturato soprattutto alla Funzione pubblica dove è stato capo dipartimento dal 2006 al 2014, prima di traslocare con lo stesso ruolo agli Affari regionali.
Presidente Naddeo, per portare gli aumenti in busta paga entro l’anno bisogna chiudere l’accordo prima dell’estate, tagliando drasticamente i tempi abituali. È davvero possibile?
Una prima accelerazione decisa c’è già stata. Il 10 marzo è stato firmato a Palazzo Chigi il Patto per l’innovazione del lavoro pubblico e la coesione sociale, e il primo obiettivo indicato era quello di iniziare la trattativa entro la fine di aprile. Il negoziato per il contratto dei 225mila dipendenti delle «Funzioni centrali», cioè ministeri, agenzie fiscali ed enti pubblici non economici, partirà giovedì prossimo, perché in poche settimane abbiamo firmato l’accordo quadro sui comparti e sono stati completati la cosiddetta «direttiva madre» e l’atto di indirizzo, che spesso in passato ha avuto percorsi complicati. Una seconda novità è data dal fatto che per la prima volta il contratto delle Funzioni centrali sarà negoziato in parallelo con quello degli altri comparti. A partire dalla sanità, che interessa 600mila persone in prima linea nella lotta alla pandemia. So che il comitato di settore delle Regioni sta lavorando all’atto di indirizzo, e lo stesso invito è arrivato a Funzioni locali e scuola.
Ma ci sono le condizioni per chiudere in tre mesi?
Le risorse a disposizione sono importanti, e un aumento medio da 107 euro al mese offre un terreno solido alla trattativa. Il passaggio dagli auspici ai fatti dipende ovviamente dalla volontà delle due parti al tavolo.
Quali sono le novità più importanti sul piano economico?
La principale riguarda la stabilizzazione dell’«elemento perequativo», cioè l’aumento aggiuntivo introdotto nel 2016 per le fasce retributive più basse che con il nuovo contratto diventa una componente del tabellare, con un riordino importante del quadro. L’altra decisione chiave sarà la distribuzione delle risorse fra componenti fondamentali e accessorie, su cui l’atto di indirizzo lascia ampia libertà negoziale; ricordando che fra gli obiettivi indicati dal Patto c’è quello di valorizzare il ruolo della contrattazione integrativa.
Che cosa significa in concreto?
Che occorre dare più autonomia alle singole amministrazioni nella definizione delle politiche di gestione del personale. In quest’ottica il contratto nazionale deve fissare i principi generali senza perdersi in troppi vincoli di dettaglio. Il contratto oggi ha la fortuna di avere più leve a disposizione, perché questa volta lavoriamo su tre assi: la componente economica, l’ordinamento professionale e lo Smart Working.
Partiamo dall’ordinamento. La riforma andrà finanziata, ma i fondi arriveranno solo con la manovra 2022. Non è un ostacolo alla corsa verso la firma?
Le risorse sono già previste da un impegno politico scritto nel Patto. Non sono quantificate anche perché è più logico prima rivedere gli ordinamenti, e su questa base capire quanto può costare l’operazione. Gli ordinamenti vanno ripensati perché spesso le mansioni più basse si stanno desertificando, mentre ci sono funzioni nuove completamente trascurate. Rivediamo le matrici, e su questa base analizziamo i costi che ci saranno, in primis,
di inquadramento.
In fatto di smart working si è fatto molto dibattito sulle percentuali e poco sull’organizzazione. Qual è la direzione da prendere?
Bisogna distinguere. C’è il compito di fissare i parametri di base, e spetta alle norme, che anche secondo me devono evitare percentuali uguali per tutti come ha sottolineato il ministro Brunetta. E poi c’è il compito, cruciale, del contratto, chiamato a disciplinare uno smart working strutturale e non più emergenziale. Bisognerà regolare i modi di esecuzione del lavoro a distanza, le tipologie di obbligo orario, le dotazioni tecnologiche, i luoghi del lavoro agile, il riconoscimento dei buoni pasto ma anche i criteri per individuare le categorie di lavoratori a cui dare priorità. Perché lo smart working «regolato» diventa anche «valutabile», ed è naturale che nel lavoro a distanza la valutazione per obiettivi diventa essenziale.
Dopo l’accordo quadro sui comparti si sono levate critiche sul «rinvio» di tre mesi delle aree dirigenziali per le incognite sulla collocazione dei tecnici della sanità. Come se ne esce?
Per fare l’intesa serve il consenso della maggioranza dei sindacati, che al momento per le aree dirigenziali non c’è. Ma non potevamo certo bloccare tutti i contratti per questa ragione. I tre mesi sono un tempo massimo, ma ho intenzione di riconvocare il tavolo prima. Penso che chiuderemo entro l’inizio di giugno, cioè prima dei tempi tecnici necessari agli atti di indirizzo.
Intanto manca all’appello il contratto 2016/18 dei 1.700 dipendenti di Palazzo Chigi.
Lì abbiamo raccolto l’adesione del 50,02% delle rappresentanze, ma per legge serve il 50,1%. La trattativa è chiusa perché non ci sono più margini. Riconvocherò il tavolo subito dopo il 29 perché è giusto fare tutto per chiudere anche questo contratto.