L’unico segno di lutto è un sottile drappo nero, seminascosto dietro al tricolore rattrappito dall’afa. Dicono che Giuseppe Bortolussi avrebbe voluto così, riservato com’era nel mostrare le proprie sofferenze, minimizzate anche nell’ultima telefonata col suo braccio destro Paolo Zabeo, ventiquattr’ore prima di spegnersi all’ospedale di Padova («Mi senti tanto stanco? Ma no, sono solo le terapie…»).
Per questo non c’è nessun mazzo di fiori, sull’enorme tavolo quadrato della sala riunioni al quinto piano dell’avveniristica sede di via Torre Belfredo, scelta come suo ufficio per stare il più possibile insieme alla propria squadra: al centro della scena, improvvisamente svuotata della sua voce stentorea, campeggia solo un pallottoliere, gemello di quello che giusto vent’anni fa il segretario della Cgia di Mestre regalò all’allora ministro Augusto Fantozzi, per invitarlo ironicamente a rifare i conti (evidentemente sbagliati) del concordato fiscale.
Niente calcolatrice, niente computer. Chiedere per credere a Giovanni Gomiero, che tiene i contatti con le categorie e cerca di andare avanti a caricare contenuti sul sito, anche se «siamo tutti molto scombussolati». O ad Andrea Vavolo, l’esperto di fisco che ogni anno individua sul calendario il «tax freedom day», giorno in cui le imprese smettono finalmente di lavorare per l’erario. O a Daniele Nicolai, l’economista del gruppo. Sono alcuni degli analisti dell’ufficio studi, la creatura di Bortolussi che adesso dovrà imparare a camminare da sola e che per cominciare può intanto appoggiarsi alle pareti, sulle quali il segretario ha lasciato appesi i fogli con le sue istruzioni, scritte rigorosamente a mano. A prima vista una serie di scarabocchi incomprensibili, ad una lettura più attenta i frammenti della sua eredità associativa. Uno su tutti: «Monitoraggio totale».
Ecco, se c’è un’indicazione da cui ripartire, Zabeo e gli altri sono convinti che sia proprio questa scritta, evidenziata in giallo all’interno di una mongolfiera blu. «Per continuare a volare – sottolinea il coordinatore dell’ufficio studi – dovremo essere ancora più rigorosi di prima nelle nostre analisi. Ora che non c’è più Bepi a farci da scudo, col suo carisma e con la sua credibilità, dovremo essere più attenti che mai nel controllare tutte le banche dati, nel vagliare tutte le fonti, nel verificare tutti i numeri. Lo dobbiamo a lui, che non ha mai nascosto di essere un uomo di centrosinistra, ma che al centrosinistra non ha mai fatto sconti nelle sue analisi. Dobbiamo fare tesoro della sua onestà intellettuale, che attraverso dati inoppugnabili e numeri certi gli ha permesso di essere inattaccabile, nonostante la sua appartenenza ad una parte, quella delle piccole e piccolissime imprese».
Una categoria che Bortolussi e i suoi ricercatori hanno visto cambiare molto, negli ultimi due decenni. «Ma grazie alle intuizioni del segretario e alle nostre indagini – continua Zabeo – siamo riusciti anche a far cambiare la percezione che l’opinione pubblica, soprattutto al di fuori del Nordest, aveva dei lavoratori autonomi. Da brutti, sporchi e cattivi, oltre che evasori fiscali, artigiani e commercianti sono diventati soggetti a pieno titolo del panorama economico, recuperando la dignità che era stata tolta loro dai pregiudizi». Un lascito che ora la Cgia intende convogliare nella «Fondazione Giuseppe Bortolussi», d’intesa con la famiglia e con la collaborazione di Università e aziende del territorio. «Sarà una costola dell’associazione – anticipa Zabeo – in cui potrà trovare attuazione il grande sogno di Bepi: la “scuola del federalismo fiscale”, una sorta di master in cui i giovani laureati potranno perfezionare lo studio di quello che il nostro segretario ha sempre ritenuto essere l’unico strumento in grado di risollevare le sorti del Veneto e dell’Italia». Quel federalismo fiscale, appunto, a cui Bortolussi ha dedicato il suo ultimo editoriale sul Corriere del Veneto . I funerali saranno celebrati domani alle 15.30 nella chiesa di Santa Maria Assunta a Camponogara.
Angela Pederiva – Il Corriere Veneto – 7 luglio 2015