Frenata del governo sull’anticipo del Tfr in busta paga: la misura allo studio dell’esecutivo con l’obiettivo di potenziare l’effetto bonus e rilanciare i consumi, non piace alle né alle piccole aziende, né a Confindustria e Palazzo Chigi fa un mezzo passo indietro.
«Ascolteremo le piccole imprese — ha detto Carlo Calenda, viceministro dello Sviluppo economico — per loro il Tfr è un elemento fondamentale di liquidità, da cui dipende la capacità di investire e di andare avanti. Se non ci sarà una soluzione che le manterrà indenni sul questo fronte, su quello dell’indebitamento e della capienza dei castelletti, l’operazione non si farà».
Il meccanismo al quale il governo sta pensando e che prevede il coinvolgimento del sistema bancario non convince infatti “i piccoli”, ma nemmeno Giorgio Squinzi, presidente di Confindustria. Mettendo il Tfr in busta paga «per quel poco che si è capito, l’unico a beneficiare sarebbe il Fisco — ha detto — quest’operazione farebbe sparire con un solo colpo di penna 10-12 miliardi per le piccole imprese: non accetteremo soluzioni che mettano a rischio la loro liquidità e che aumentino costi e complessità burocratica». Un «no grazie» è arrivato anche dalle Confcooperative: «Siamo già troppo provati dalla crisi» ha affermato il presidente Maurizio Gardini. Ma se sul Tfr il governo sembra frenare — «la questione importante, ne stiamo discutendo» ha detto ieri il premier Matteo Renzi — resta alta la tensione sul Jobs act e sulla possibilità che il governo, per bypassare la valanga di emendamenti presentati, decida di porre il voto di fiducia sul provvedimento.
«Al momento la fiducia non ci sarà» ha assicurato il ministro del Lavoro Giuliano Poletti «stiamo lavorando per una composizione delle diverse soluzioni». Ma allo stesso tempo il vicepresidente del partito, Lorenzo Guerini ha ricordato come, nella prossima settimana «con o senza fiducia sia importante mettere un punto definitivo per un primo passaggio al Senato: il Paese deve correre e la tempistica ha una sua importanza».
Parole che preoccupano la minoranza del Pd, che vuole il dibattito in aula e il voto sugli emendamenti presentati «Sarebbe un errore se su una legge delega di questa portata il governo scegliesse la via della fiducia» ha affermato Gianni Cuperlo. Per Pippo Civati oltre che un errore «sarebbe un segno di debolezza dell’esecutivo. Renzi aveva parlato di un nuovo emendamento, se si torna indietro vorrà dire che saremo ancora meno d’accordo di prima». «Per quanto mi riguarda senza cambiamenti significativi la delega non è votabile — ha messo in chiaro Stefano Fassina, che si è detto pronto, in quel caso «ad andare il piazza il 25 ottobre». In attesa della manifestazione voluta per quella data da Cgil e Fiom, ieri il governo Renzi ha incassato la prima protesta di piazza, organizzata da Sel a Roma, contro la politica del lavoro. «Servono risposte concrete e immediate e avere un concorso per il futuro. La gente ha perso la fiducia nel futuro — ha detto il premier Renzi — nonostante i problemi e le difficoltà non molliamo».
Repubblica – 5 ottobre 2014