di Danilo Taino.Nelle ultime ore, la vicenda dei marò italiani accusati dell’omicidio di due pescatori indiani e trattenuti a New Delhi ha cambiato di qualità. Indiscrezioni in arrivo dal governo di New Delhi indicano che i militari potrebbero essere imputati e giudicati sulla base di una legge che prevede la pena capitale. Ciò non è solo inaccettabile per ragioni umanitarie e perché la nostra Costituzione esclude la pena di morte per qualsiasi reato: è anche il segno della politicizzazione che la vicenda ha ormai preso nel mezzo della campagna per le elezioni federali indiane che si terranno tra aprile e maggio.
A questo punto, la questione principale non riguarda la ricostruzione dei fatti di cui sono accusati Salvatore Girone e Massimiliano Latorre: sarà un tribunale a farla. In questione è la possibilità che i due soldati abbiano un processo giusto.
Al proposito, il governo italiano fa bene ad avere dei dubbi e a esprimersi in toni duri nei confronti di Delhi, come ha fatto ieri. L’India è in piena campagna elettorale, in un clima di nazionalismo crescente nel quale nessun partito vuole rischiare di mostrarsi debole con gli stranieri. Il leader dell’opposizione Narendra Modi è pronto ad attaccare ogni apertura verso i due italiani. Il partito del Congresso, al governo, non vuole sembrare meno intransigente, anche perché la sua presidente, Sonia Gandhi, teme di essere considerata anti-indiana sulla base della sua origine italiana. Il risultato è che i due marò rischiano di rimanere ostaggio della propaganda e delle manovre elettorali. Se poi il prossimo primo ministro dovesse risultare Modi, nazionalista e non testato sul piano internazionale, c’è il rischio che la vicenda torni al punto zero, riconsiderata con tempi ancora più lunghi e in forme impreviste.
Il governo italiano, le forze politiche e le organizzazioni della società a questo punto devono essere unite, per fare in modo che il processo sia protetto da interferenze politiche. Sono passati quasi due anni dal quel 15 febbraio 2012 in cui Celestine Valentine e Ajesh Binki furono uccisi. Altrettanti dal successivo 18 febbraio, quando Girone e Latorre furono arrestati. E un anno è trascorso da quando la Corte Suprema indiana ha deciso di affidare a un tribunale speciale il giudizio. Ciò nonostante, nessun passo avanti è stato fatto, i capi d’imputazione non sono nemmeno stati avanzati. E ora si sollevano rumori di pena capitale.
Si tratta di proteggere i due militari italiani, di affermare le regole del diritto internazionale e di difendere la reputazione di diplomazia pacifica del Paese: per questo, l’Italia deve essere pronta a percorrere ogni strada. Anche quella, se l’imputazione dei due marò avvenisse sulla base della legge che prevede la pena di morte, di internazionalizzare la vicenda, cioè di rivolgersi a un tribunale sovranazionale e rifiutare il giudizio di una magistratura che non si sta dimostrando in grado di condurre in porto un processo in modi e tempi accettabili. Il Corriere della Sera
Caso Marò, Tajani: sospendere i negoziati dell’accordo Ue-India
È allarme rosso a Roma sulla possibilità, evocata ieri in India, che al caso dei due marò italiani Massimiliano Latorre e Salvatore Girone possa essere applicata la speciale legge antipirateria che prevede la pena di morte.
L’Italia sta studiando le sue «contromisure» e si prepara a prendere tutte le iniziative necessarie, «in ogni sede» e in modo «inflessibile» per allontanare lo spettro di una pena capitale che sembrava ormai essere svanito del tutto.
«L’Ue può firmare un accordo di libero scambio con un Paese che non rispetta i diritti umani?». Così in un messaggio su Twitter il vicepresidente della Commissione europea, Antonio Tajani, interviene sulla questione dei fucilieri spiegando anche di aver pronta una lettera a Barroso e alla Ashton sulla questione. «Possiamo continuare a negoziare l’accordo Fta con l’India – si chiede ancora Tajani quando si prende in considerazione la pena di morte contro cittadini Ue che combattono la pirateria marina?».
La preoccupazione per ora non è legata «a fatti», dal momento che il rischio della pena di morte è circolato come indiscrezioni apparse sulla stampa. E tuttavia New Delhi non ha smentito, e ieri pomeriggio il premier Enrico Letta ha convocato d’urgenza a Palazzo Chigi tutti i ministri coinvolti nell’intricato dossier che da quasi due anni tiene sospesi i due fucilieri di Marina e le loro famiglie ed agita la vita politica del nostro Paese.
«Sarebbe inaccettabile che le assicurazioni date dal governo indiano non vengano rispettate», ha detto il presidente del Consiglio dopo l’incontro con i ministri Emma Bonino, Mario Mauro e Annamaria Cancellieri. E se così non fosse, l’Italia è pronta a reagire «con tutte le iniziative necessarie», «in tutte le sedi», ha assicurato Letta.
In che modo e quali siano le contromisure che il governo prenderebbe nel caso peggiore, ancora non è chiaro. Le ipotesi vanno da un ricorso alla Corte Suprema indiana – che a gennaio dell’anno scorso aveva escluso per la vicenda dei maro’ l’applicazione del «Sua Act», la legge antipirateria e antiterrorismo che prevede la pena di morte – a passi diplomatici più radicali, come il ritiro dell’ambasciatore italiano a New Delhi. Quel che è certo è che in questa complicata vicenda il governo «mostrerà la necessaria inflessibilità», ha assicurato il ministro della Difesa Mario Mauro.
Letta ha ribadito che il governo «resterà a fianco dei marò e delle loro famiglie fino a che avremo raggiunto l’obiettivo di riportarli in Italia», ma ha anche ammesso che la speranza di una conclusione «rapida» si fa più flebile. «Si attende che si dia seguito concreto alle assicurazioni fornite dal governo indiano, coerenti con le indicazioni della Corte suprema», è tornato a ripetere il premier, ma la polemica politica si è già scatenata.
Il M5S ha accusato il governo di «far solo chiacchiere» e ha annunciato una missione in India, a sue spese, come già accaduto in Kazakistan per il caso di Alma Shalabayeva. Fratelli d’Italia ha chiesto che la Bonino riferisca immediatamente in Aula, mentre per Mara Carfagna (Forza Italia) «se la vicenda non fosse una tragedia sarebbe una farsa». Per il vicepresidente della Commissione europea, Antonio Tajani, «la pena di morte è una sanzione contro i diritti dell’uomo, contro i valori dell’Ue», mentre la vicepresidente del Parlamento europeo Roberta Angelilli ha chiesto «una netta presa di posizione dell’Alto Rappresentante dell’Unione per gli Affari esteri, Catherine Ashton, affinché vi sia una piena applicazione del diritto internazionale». La Stampa
11 gennaio 2014