L’interesse scientifico per i composti fluoro-organici, quale classe di contaminanti ambientali emergenti, sta portando sempre nuove evidenze riguardo alle loro caratteristiche tossicologiche. E’del settembre 2016 la pubblicazione statunitense a cura del National Toxicological Program sotto l’egida del National Institute of Environmental Health Sciences (NIEHS) (NTP Monograph: Immunotoxicity Associated with Exposure to Perfluorooctanoic Acid or Perfluorooctane Sulfonate) che riporta la valutazione sistematica delle evidenze scientifiche che mettono in relazione l’esposizione ai composti perfluorurati a 8 atomi di carbonio (C8), PFOS e PFOA, con effetti di immunotossicità in animali e in gruppi di popolazione esposta.
I composti PFAS a 8 atomi di carbonio sono quelli ritenuti più rilevanti ai fini del trasferimento dal comparto ambientale agli organismi viventi e dei potenziali effetti tossicologici, e per questo particolarmente studiati. La revisione sistematica della letteratura scientifica effettuata dall’NTP ha concluso che esiste una forte evidenza scientifica che l’esposizione a PFOS e PFOA in animali da laboratorio comprometta la risposta anticorpale.
Tali dati sperimentali potrebbero essere rinforzati da studi osservazionali in gruppi di animali naturalmente esposti a PFAS, quale conseguenza di acqua, suolo, e foraggi contaminati. Il sistematico ricorso a programmi vaccinali, e la tracciabilità degli interventi terapeutici nell’ambito delle azioni di farmacovigilanza (rotture di immunità) e di farmacosorveglianza (consumo di farmaci) negli allevamenti può costituire la base per una azione di epidemio-sorveglianza, atta a capire l’impatto in termini di bio-sicurezza negli allevamenti. Il fatto che entrambi i composti mostrino un medesimo effetto tossicologico, anche se i meccanismi di azione non sono stati completamente chiariti, porta poi a non disgiungere il rischio dovuto all’esposizione contemporanea/combinata ai due PFAS C8.
Riguardo alle esposizioni combinate a più PFAS, un recente studio statunitense pubblicato su Chemosphere, attraverso tecniche in silico (elaborazione al computer, ndr) e di affinità di legame indirizzate allo studio quantitativo delle relazioni tra la struttura e attività (QSAR) di molecole perfluorurate a differente lunghezza, evidenzia come più sostanze perfluoroalchiliche, oltre ai C8 PFOS e PFOA, possano interferire con la funzionalità tiroidea, essendo in grado di legarsi alla proteina di trasporto dell’ormone T4.
Tale effetto di interferenza endocrina a carico della tiroide può compromettere la produttività degli animali da reddito, selezionati anche in funzione di un elevato metabolismo basale in grado di sostenere rese produttive elevate, e quindi costituire un problema di food security. Anche in questo caso, la disponibilità di dati quantitativi di produzione in allevamento, unitamente ad una verifica dell’esposizione degli animali attraverso opportuni biomarcatori di esposizione e di effetto può contribuire in maniera rilevante alla valutazione dell’esposizione combinata a tali composti, laddove i dati osservazionali sulla popolazione umana esposta, per la presenza di numerosi fattori di confondimento legati ai differenti stili di vita, non permettono di ricavare evidenze di associazione/causalità altrettanto forti.
La problematica PFAS dimostra come per i rischi emergenti sia necessario un approccio “one health” che si basi su sistemi di sorveglianza in grado di produrre evidenze scientifiche forti basate su dati di qualità sottoposti ad una revisione critica autorevole ed indipendente. A breve, si potrà verificare come questo approccio di incrocio tra dati sperimentali e dati osservazionali, anche in relazione ad esposizioni combinate, sia stato seguito da EFSA nella opinione sui livelli guida per esposizioni alimentari a PFAS, attesa entro l’estate 2017.
Gli allegati
A cura Ufficio stampa Sivemp Veneto – 4 luglio 2017