Nuove province, ecco la mappa degli «esuberi». L’alleggerimento delle funzioni e della dotazione organica costringerà a ricollocare 19.339 dipendenti
La riforma delle Province arriva al passaggio chiave e comincia ad agitare davvero politici e personale: il cuore del problema è rappresentato dal destino del personale, perché i nuovi enti «di area vasta» dovranno essere alleggeriti di competenze, ma anche dei dipendenti che quelle funzioni svolgevano.
Doppia mossa
La strategia del Governo per passare ai fatti si è articolata in due passaggi: i super-tagli alle risorse, un miliardo nel 2015 per salire fino a tre miliardi nel 2017, e l’alleggerimento della dotazione organica, che (come anticipato sul Sole 24 Ore del 29 novembre) dovrà dimezzare la spesa nelle Province che rimangono tali e ridurla del 30% in quelle che si trasformeranno in Città metropolitane. L’idea è semplice, e poggia sul fatto che enti con meno compiti devono avere meno spese e meno dipendenti, perché sarà la nuova geografia dei compiti distribuiti a Regioni e Comuni a indicare la destinazione del personale «in eccesso», ma la sua realizzazione altrettanto semplice non è. Per capirlo, basta guardare i numeri: il taglio alla dotazione organica, come accennato, è basato sulla spesa, ma in base al costo medio dei dipendenti può far misurare con buona precisione il numero delle persone destinate a trasformarsi in «eccedenze», e quindi a essere coinvolte nelle misure di riorganizzazione. Misure tra le quali non rientra l’estensione fino al 2018 dei pensionamenti con le regole pre-Fornero, che era stata ipotizzata ma poi è stata accantonata anche per evitare un altro strappo alla tela delle nuove regole previdenziali: gli «esuberi», anche se la riforma non li chiama così, potranno sfruttare le vecchie finestre solo se raggiungono i requisiti pre-riforma entro la fine del 2016, secondo il calendario scritto nel decreto dell’anno scorso sulla Pubblica amministrazione del 2013 (articolo 4 del Dl 101/2013), altrimenti andranno indirizzati verso altre amministrazioni.
I numeri
La questione, come mostra il grafico qui a destra elaborato dall’Unione delle Province italiane, interessa 19.339 persone. In valore assoluto, l’esodo più consistente è previsto a Cosenza (514 dipendenti) e a Perugia (507), mentre tra le future Città metropolitane primeggia ovviamente Roma (837 «eccedenze»). In quest’ultimo caso, però, lo spostamento di personale sarebbe relativamente più facile, viste le dimensioni della Pubblica amministrazione nella Capitale che potrebbero offrire agli ex dipendenti provinciali destinazioni alternative, dalle cancellerie dei tribunali agli altri uffici territoriali della Pa centrale e locale: trovare centinaia di posti a Cosenza, ma anche a Brescia, Salerno, Potenza, Cuneo, Caserta o Alessandria, giusto per citare i casi con i numeri più importanti, sarà una sfida assai più ardua. Una sfida, per di più, a cui non potranno partecipare i titolari di contratti a termine, e che rischia di complicare la vita anche ai vincitori di concorso che attendono da anni l’ingresso nella Pubblica amministrazione ma ora dovranno contendersi gli spazi anche con i dipendenti in uscita dalle Province.
Il nodo delle funzioni
Il problemo è reso ancora più intricata dal fatto che le due gambe della riforma non stanno viaggiando alla stessa velocità. Se il ridisegno della dotazione organica, che serve a individuare le «eccedenze», viene imposto per legge dalla manovra, la redistribuzione delle funzioni deve avvenire a livello regionale, e gli osservatori regionali in cui i vari livelli di governo, dalle Regioni ai Comuni, dovrebbero mettersi d’accordo sull’assegnazione dei diversi compiti sono partiti solo in alcune realtà. Una di queste è la Lombardia, dove però il presidente della Regione, Roberto Maroni, è intervenuto per chiarire che secondo lui tutte le competenze assegnate negli anni alle Province devono rimanere dove sono. Il rischio paventato dai Governatori è quello di doversi accollare ulteriori costi in un momento in cui i bilanci regionali devono affrontare un nuovo capitolo della spending review: un timore, questo, che frena per esempio anche il Piemonte, caratterizzato da un bilancio in sofferenza anche per i disavanzi maturati negli anni scorsi, mentre in molte altre Regioni, al Sud ma non solo, gli osservatori non hanno ancora mosso il primo passo. Questo disallineamento nei tempi mette a rischio anche l’aspetto sul quale i due capitoli della riforma arrivano quasi a coincidere, cioè quello delle risorse: il taglio alla dotazione organica, infatti, secondo i calcoli dell’Upi vale 862 milioni di euro, cioè quasi tutto il miliardo di tagli chiesto alle Province nel 2015, ma se il personale non si sposta ovviamente i suoi costi rischiano di rimanere a lungo a carico dei vecchi enti. Già oggi, peraltro, i loro bilanci sono spesso ridotti ai minimi termini, come indicano i calcoli realizzati dal centro studi ReAl-Sintesi per Il Sole 24 Ore sulle sforbiciate che si sono accumulate negli ultimi quattro anni: in media, la serie dei tagli ha ridotto del 45% le entrate (tributi e trasferimenti) registrate nei conti 2010, ma ci sono casi in cui le varie manovre hanno fatto sparire più di sei euro su dieci: a guidare questa classifica è il Verbano-Cusio-Ossola, che in quattro anni si è visto tagliare il 73% delle entrate.
Il Sole 24 Ore – 15 dicembre 2014