L’opposizione punta i piedi. Boehner: «Non vogliamo la paralisi del Governo, ma non rinunceremo a chiedere lo stop di una legge troppo costosa»
Barack Obama è passato al contrattacco nella battaglia sul bilancio e sul debito federale americano. Il presidente ha difeso la riforma della sanità affermando che «è qui per restare» nonostante sia al centro dello scontro frontale tra Casa Bianca e repubblicani, che hanno chiesto la sua cancellazione per approvare finanziamenti al Governo e innalzare il tetto sul debito, due misure necessarie a impedire paralisi e default nelle prossime settimane. L’opposizione, però, non ha ceduto: ieri sera ha proposto alla Camera il rinvio di Obamacare e tagli di spesa in cambio di qualunque ritocco del debt ceiling.
L’impasse ha fatto scattare un nuovo accorato allarme del Fondo monetario internazionale: un portavoce ha invitato Congresso e Casa Bianca a trovare al più presto un compromesso che eviti nuove crisi, deleterie per l’economia statunitense e globale. «È importante per la prosecuzione della ripresa americana e mondiale», ha detto il portavoce Gerry Rice. La marcia del Pil è stata confermata al 2,5% nel secondo trimestre dell’anno e un calo dei sussidi di disoccupazione ai minimi dal 2007 è parso incoraggiante, ma le preoccupazioni per la debolezza dell’espansione rimangono e di recente hanno spinto la Federal Reserve a mantenere a sorpresa intatti il suo sostegno straordinario alla crescita.
Obama dal Maryland ha detto che uno svuotamento della riforma della sanità, la sua principale conquista di politica sociale, «non avverrà mentre sono presidente». E ha additato i repubblicani come «irresponsabili» se porteranno fino in fondo le loro minacce. I capisaldi della riforma cominceranno a entrare davvero in vigore dal 1?ottobre, per consentire a un maggior numero di americani meno abbienti di acquistare polizze mediche grazie anche a incentivi e sussidi. La riforma prevede anche sanzioni dall’anno prossimo per spingere le adesioni. Obamacare è tuttavia criticata dai repubblicani come troppo costosa e come un’ingerenza eccessiva dello Stato.
Intanto, il conto alla rovescia su budget e debito è ormai agli sgoccioli. La prima scadenza è imminente: l’anno fiscale termina fra quattro giorni, a fine settembre, e senza leggi che estendano i finanziamenti gli uffici federali potrebbero essere costretti a chiudere. Il Senato a maggioranza democratica si appresta a votare nuovi stanziamenti, forse entro il fine settimana dopo che un senatore populista dei Tea Party, Ted Cruz, ha rinunciato all’ostruzionismo. La Camera ha però appena approvato un budget che prevede proprio la cancellazione delle risorse per la riforma sanitaria. Le due proposte dovranno trorvare un difficile punto di incontro per fare emergere un nuovo budget. Lo speaker della Camera, il repubblicano John Boehner, ieri ha detto di ritenere che una “serrata” del Governo possa essere evitata, ma che non intende rinunciare alle istanze repubblicane sul taglio della spesa pubblica: «Non abbiamo interesse a una paralisi del Governo. Dobbiamo però affrontare il problema della spesa».
La polemica sul budget potrebbe preparare il terreno a uno scontro ancora più duro e pericoloso sul tetto del debito, oggi fissato a 16.700 miliardi di dollari. Il segretario al Tesoro Jack Lew ha calcolato in una lettera a Boehner che le risorse federali saranno esaurite il 17 ottobre, quando resteranno in cassa 30 miliardi di dollari, e che lo spettro di un default potrebbe emergere poco dopo, con 55 miliardi in assegni pensionistici dovuti a novembre. I repubblicani hanno da parte loro chiesto di trattare su spesa pubblica e sanità prima di approvare qualunque innalzamento del tetto, prerogativa del Congresso. Nel piano presentato ieri alla Camera hanno legato l’aumento fino al 5 dicembre del 2014 al rinvio di un anno dell’Affordable Care Act, al taglio di altri benefit sociali e a una serie di semplificazioni. La Casa Bianca ha finora risposto seccamente che su una questione di credibilità del Paese quale il tetto del debito non intende scendere a patti. Furono simili tensioni politiche nel 2011 a portare allo shock del declassamento del rating degli Stati Uniti da parte di Standard & Poor’s.
Il Sole 24 Ore – 27 settembre 2013