Le norme presenti in un codice deontologico di un ordine professionale non sono equiparabili a quelle di diritto che operano nell’ordinamento generale, né possono essere considerate tali nell’accezione e ai fini di cui all’articolo 360 n. 3 del Cpc . Lo hanno ribadito i giudici della Suprema corte con la sentenza n. 23017 dell’11 novembre 2015.
Un principio consolidato – In particolare, viene richiamata in motivazione nella pronunzia in rassegna, la sentenza della Cassazione del 23 gennaio 2007 n. 1476, secondo cui le norme del codice deontologico di un ordine professionale, al di fuori dell’ambito disciplinare, non sono assimilabili a norme di diritto operanti nell’ordinamento generale, né possono essere considerate tali nell’accezione e ai fini di cui all’articolo 360 n. 3, del Cpc.
Analogamente, nell’ambito della violazione di legge – in relazione alla quale (oltre che per incompetenza ed eccesso di potere) le decisioni del Consiglio nazionale forense sono ricorribili per cassazione (art. 56 del regio decreto – legge 27 novembre 1933 n. 1578 e articolo 111 della Costituzione) – va compresa anche la violazione delle norme del codice deontologico dell’Ordine professionale, trattandosi di norme giuridiche obbligatorie valevoli per gli iscritti all’albo degli avvocati che integrano il diritto oggettivo ai fini della configurazione dell’illecito disciplinare, Cassazione, sentenza 23 marzo 2004, n. 5776.
Sempre nel senso che nell’ambito dei giudizi disciplinari le norme del codice deontologico di un ordine professionale assumono il rango di norma di diritto ai fini del sindacato di legittimità, Cassazione, sentenze 3 marzo 2011 n. 5116 (resa con riguardo all’articolo 29 del codice deontologico degli architetti), sezioni Unite, 7 luglio 2009 n. 15852 (secondo cui le previsioni del codice deontologico forense hanno la natura di fonte meramente integrativa dei precetti normativi e possono ispirarsi legittimamente a concetti diffusi e generalmente compresi dalla collettività) e 14 luglio 2004 n. 13078, secondo cui il codice disciplinare dei geometri assume il rango di norma di diritto e, quindi, l’interpretazione della norma appartenente al codice deontologico costituisce una questio iuris, come tale prospettabile dinanzi al giudice di legittimità come violazione di legge, e non una quaestio facti, in ordine alla cui soluzione il sindacato della cassazione è limitato al controllo sull’esistenza e la legalità della motivazione.
In tema di tutela della riservatezza – Al riguardo – peraltro – in molteplici occasioni – specie in tema di tutela della riservatezza – la Suprema corte ha affermato che il codice deontologico dei giornalisti costituisce fonte normativa integrativa (ad esempio, Cassazione, sentenze 6 giugno 2014, n. 12834, secondo cui la pubblicazione su un quotidiano della foto di una persona ritratta al momento del suo arresto è legittima se sia rispettosa – tra l’altro – anche delle particolari cautele imposte a tutela della persona ritratta, previste dall’articolo 8, primo e secondo comma, del codice deontologico dei giornalisti, che costituisce fonte normativa integrativa, e 24 aprile 2008 n. 10690, nonché 25 giugno 2004 n. 11864, ove – in entrambe – il rilievo che il rispetto delle previsioni deontologiche è condizione essenziale per la liceità e la correttezza del trattamento dei dati personali e, se tali presupposti non sussistono, il consenso dell’interessato è imprescindibile e la diffusione del dato senza quel consenso è suscettibile di essere apprezzata come fatto produttivo di danno risarcibile ai sensi dell’articolo 18 della legge n. 675 del 1996)
Il Sole 24 Ore sanità – 7 gennaio 2016