di Stefano Simonetti, il Sole 24 Ore sanità. Il Consiglio dei ministri ha approvato il 25 ottobre scorso lo schema di disegno di legge cosiddetto “Concretezza”. In data 11 ottobre era stato rilasciato il richiesto parere da parte del Garante per la protezione dei dati personali che dovrà essere ripetuto in modo più formale sul testo del Dpcm attuativo. Ora può dunque iniziare l’iter parlamentare per trasformare il Ddl in legge. Il titolo completo del provvedimento è “Interventi per la concretezza delle azioni delle pubbliche amministrazioni e la prevenzione dell’assenteismo” e consta di sei articoli.
Sull’art. 1 è particolarmente difficile fare osservazioni e previsioni in quanto è una norma di pura programmazione che sembra più un effetto annuncio che una disposizione di valenza concreta. Vengono inseriti tre nuovi articoli nel decreto 165 del 2001 che, in tal modo, aggiungono ulteriori complessità a un Testo unico che è ormai ridondante e non sempre del tutto lineare. Per il Nucleo della Concretezza si prevedono 53 dipendenti di cui 30 di nuova assunzione. Di conseguenza la norma è onerosa, visto che a regime costerà quasi 4 ml di euro. Anche se non esplicitamente affermato, le azioni del Nucleo dovrebbero riguardare anche aziende ed enti del Ssn visto che il decreto interministeriale applicativo dovrà essere adottato previa Intesa in conferenza Unificata.
L’art. 2 ha molti problemi e, infatti, è quello sul quale si è espresso il Garante della Privacy in modo non certamente positivo. Il parere ha comportato subito alcune correzioni formali (la formula “verifica biometrica dell’identità”) ma le tre condizioni che pone il Garante per l’espressione positiva sembrano molto impegnative: liceità, proporzionalità e minimizzazione. In dettaglio il Garante impone che si scelga solo uno strumento tra impronte digitali e videosorveglianza, che il sistema sia introdotto con gradualità e, infine, che non sia generalizzato ma mirato a specifici fattori di rischio. Secondo la stesura precedente l’introduzione di queste rilevazioni avrebbe dovuto essere a costo zero ma, con l’introduzione dei commi 5 e 6, si sono stanziati 35 ml di € in accoglimento dei rilievi del Garante. In base alla formulazione del comma 5 è molto dubbio che questo stanziamento ricomprenda le aziende sanitarie. Il Governo ha accolto il suggerimento del Garante relativi al costo ma non quello sulla doppia rilevazione che è stata confermata con stringenti motivazioni nella Relazione illustrativa. Sul piano dei contenuti, si segnala che sono esclusi il personale in regime di diritto pubblico, tutti i docenti nonchè i dirigenti. Ma l’esclusione dei dirigenti – rispetto alle altre figure – risulta solo dalla relazione illustrativa e questo è già una complicazione. I dirigenti devono “soltanto” adeguare la loro prestazione lavorativa alle esigenze dell’organizzazione e all’incarico dirigenziale e tale affermazione appare paradossale, se non bizzarra, perché c’è da chiedersi allora come e per chi lavoravano in passato. Tra l’altro quanto affermato nel comma 2 implica per forza che per i dirigenti esiste eccome un orario minimo e sono evidenti i riflessi sulla mai sopita questione dell’orario dei primari; ma se è così il principio non può essere dedotto e deve essere espressamente affermato, altrimenti i problemi applicativi saranno notevoli. Sul parere del Garante si può concordare quasi su tutto, in particolare sulla duplicazione dei controlli e sul costo di tutta l’operazione. Il rispetto dei principi elencati nel parere è una costante dell’Autorità e sembra difficile non dargli ragione. In ogni caso – in termini generali e maggiormente pragmatici – passare dall’utilizzo del badge o alle impronte digitali non cambierà nulla laddove il dipendente – una volta rilevata la presenza – non abbia un “serio” carico di lavoro da fare con qualcuno che ne verifica effettivamente l’attuazione e qui forse torna in gioco il concetto di “adeguamento” di comportamenti da parte dei dirigenti. In ogni caso, finché non si instaurerà un controllo sociale e una cultura che, invece di considerare questi signori quasi degli eroi popolari, li tratti da quello che sono, cioè dei delinquenti. E non credo che le impronte digitali possano servire da sole a questo recupero di produttività.
L’art. 3 è stato parzialmente superato dal parere della sezione Autonomie della Corte dei Conti del 18 ottobre ma con questa norma interpretativa si salverebbero anche le risorse necessarie per assunzioni in deroga, comprese le stabilizzazioni ex art. 20 del d.lgs. 75/2017. Quindi è bene che vada avanti, anche se non si comprende perché l’interpretazione contenuta in questo art. 3 non sia “autentica”. Personalmente però sono convinto che l’unica soluzione, come ho sempre affermato, sia l’abrogazione dell’art. 23, comma 2.
L’art. 4 non riguarda direttamente la Sanità, ma alcune considerazioni si possono comunque fare. Innanzitutto, quando per l’ennesima volta si legge “ricambio generazionale” crescono le perplessità perché sarà come le altre volte: si facilitano le uscite ma non si assume. La ministra Bongiorno ha promesso 450.000 assunzioni e sarà agevole verificare quante saranno quelle effettivamente portate a termine. Nel comma 4 però c’è una cosa interessante anche per la sanità. Per queste assunzioni (e sembra solo per queste) si deroga alla mobilità pre concorsuale e al piano dei fabbisogni e saranno svolte con modalità semplificate: come si potrà giustificare la disparità di applicazione delle stesse norme del 165? Comunque il principio di adeguamento obbligatorio contenuto nell’art. 6 sembra impegnare anche le Regioni per la sanità ad attuare le due deroghe nei concorsi delle aziende sanitarie.
L’art. 5 tratta una questione congiunturale dei buoni pasto e, francamente, non dovrebbe nemmeno essere contenuto in un ddl sembrando la materia più congeniale ad un decreto-legge.