Meno aiuti e non per tutti. Sono questi, in estrema sintesi, i cardini della nuova Politica agricola comune 2014-2020: il primo imposto dai tagli al bilancio Ue, il secondo frutto delle scelte nazionali che il Consiglio dei ministri ha ratificato giovedì – dopo un lungo negoziato tra ministero, regioni e associazioni agricole – con l’approvazione del decreto attuativo dell’ultima riforma comunitaria.
Un passaggio che blinda, dopo le recenti polemiche sulla destinazione dei contributi, la strategia scelta dal Mipaaf «per ottimizzare – come dice il ministro Martina – l’utilizzo dei fondi Ue. Abbiamo fatto scelte non banali nel contesto di una riforma che non è quella che avremmo desiderato. Ora sarà importante il lavoro di coordinamento con le regioni, perché fino al 2020 abbiamo a disposizione 52 miliardi», sommando ai 23 miliardi di aiuti diretti (in calo del 18% circa ma con punte del 50 rispetto ai livelli attuali) i fondi (cofinanziati) per lo sviluppo rurale.
Nel merito, il capitolo più controverso resta quello del cosiddetto greening, con vincoli ambientali crescenti per la aziende con almeno 15 ettari che dovranno obbligatoriamente diversificare la produzione a due (o più) colture, destinando inoltre almeno il 5% della superficie aziendale a opere con valenza paesaggistica e ambientale. In pratica un ritorno del vecchio set-aside obbligatorio ma senza la flessibilità che ne aveva fatto un efficace strumento di gestione del mercato. Le penalità arrivano al 30% degli aiuti e le misure sono state oggetto di forti contestazioni da parte agricola in quanto non producono reali benefici per l’ambiente e in molti casi (soprattutto in Italia) sono di difficile applicazione, per non parlare dei controlli.
Con buona pace della sbandierata e necessaria semplificazione. Ma è tutta la riforma che rappresenta una sfida sia per le imprese che per l’amministrazione, con l’Agea (l’organismo pagatore nazionale) chiamata a un lavoro difficile e delicato come la riassegnazione dal 2015 dei diritti all’aiuto in base alle superfici, con l’ingresso di comparti (come vino e ortofrutta) fino a oggi esclusi (in quanto titolari di regimi speciali).
La platea dei beneficiari sarà ridotta, anche se non drasticamente come ipotizzato in un primo momento; non riceveranno più pagamenti diretti Pac aeroporti, servizi ferroviari, impianti idrici, servizi immobiliari, terreni sportivi, banche e assicurazioni. Per tutti gli altri, gli aiuti saranno progressivamente (e parzialmente) riallineati alla media nazionale in cinque anni.
Saranno tagliati i maxi-premi, con un tetto aziendale fissato a 500mila euro annui e riduzione del 50% degli importi oltre i 150mila. Per i giovani agricoltori infine è previsto uno stanziamento ad hoc di 80 milioni annui per incrementare del 25% gli aiuti destinati ad aziende agricole condotte da under 40, mentre chi non supera i 1.250 euro di sussidi annui potrà beneficiare di un regime di pagamento semplificato e sarà esentato dal rispetto dei nuovi vincoli «ambientali».
Ora a Bruxelles si apre l’ennesima partita sui tagli da 450 milioni a carico del bilancio agricolo 2015: se ne parlerà il 5 novembre al Consiglio agricolo, in modo informale; la decisione spetta al Consiglio Affari generali e al Parlamento europeo, dove De Castro annuncia battaglia. Insieme agli altri coordinatori della commissione Agricoltura ha scritto una lettera al neo presidente della Commissione Ue Jean-Claude Juncker contro i tagli. «Prelevare gli aiuti ai produttori colpiti dall’embargo russo dalla riserva di crisi autofinanziata dagli stessi agricoltori – spiega De Castro – è una beffa insostenibile per un settore che sta pagando duramente una crisi che non ha originato».
Il Sole 24 Ore – 1 novembre 2014