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Padova. Frode sulle verdure a chilometro zero. Altro che filiera corta: in realtà venivano dai mercati generali

Se c’era una cosa che sembrava immune dagli scandali era proprio quella: la fede nella terra e nei suoi prodotti «made in Veneto»; o per meglio dire «made in casa», dal momento che la Regione guidata dall’ex ministro dell’Agricoltura Luca Zaia era stata la prima ad appoggiare la filiera corta sull’onda del motto «dal produttore al consumatore».

Ma questo patto di fede viene ora travolto dall’inchiesta aperta a Padova dal sostituto procuratore Sergio Dini, che ha indagato per frode in commercio quattro piccoli produttori agricoli, accusati di avere venduto sui loro banchetti a «chilometro zero» frutta e verdura che in realtà era stata acquistata al mercato ortofrutticolo generale di Padova, e poi rivenduta come fosse frutto del loro sudore.

L’inchiesta nasce da una serie di controlli del comando provinciale del Corpo forestale, sulle basi di una segnalazione da parte di un altro agricoltore che ogni settimana metteva in vendita i prodotti del proprio appezzamento. E vedeva accanto a sé qualcosa che poi non tornava, almeno nei suoi conti. Il fascicolo è finito in mano al sostituto Dini che ha delegato una serie di indagini alla Forestale. Prima con appostamenti fotografici nei locali del Maap di Padova (il mercato ortofrutticolo), poi con acquisti in incognito ai mercatini sospetti, i forestali hanno di fatto trasformato il dubbio in certezza. Quella merce venduta a pochi euro nei mercatini a «chilometro zero» di Vigodarzere, Cadoneghe, Cittadella e Padova (in piazza De Gasperi), spacciata come nostrana o appena raccolta, in realtà altro non era se non la stessa frutta e verdura che nei giorni prima campeggiava sui bancali del mercato ortofrutticolo. Così gli investigatori si sono ritrovati con mele dal Trentino (anche se di frutta a dire il vero ce n’era poca), zucchine e carote dalla Toscana, insalata dalla Puglia e perfino patate dalla Francia.

L’inchiesta è ben lontana dal dichiararsi conclusa: gli 007 della procura stanno vedendo se i quattro episodi sono casi isolati o se invece si tratta di un malcostume diffuso, mentre in laboratorio saranno portate avanti analisi per verificare lo stato di conservazione di parte della merce finita al centro dell’indagine. Certo è che la decisione della magistratura di mettere il naso sulle vendite a «chilometro zero», fa suonare il campanello d’allarme tra le associazioni di categoria. «Le mele marce non le vogliamo – tuona Federico Miotto, presidente di Coldiretti Padova -, chi si comporta così è scorretto. Si va a danneggiare sia i consumatori con una frode bella e buona, sia i produttori corretti che ci mettono la faccia nel loro lavoro e nei loro mercatini». A dar man forte a Miotto, arriva il presidente dell’Associazione agrimercato delle terre del Santo, Pierluigi Argenton: «Il “km zero” ormai è un vero e proprio patrimonio sociale – spiega – intorno al quale però non manca chi se ne appropria indebitamente mettendo a repentaglio la serietà dei produttori e la fiducia dei consumatori. Il nostro sistema allontana subito e automaticamente chi non rispetta le regole. Ben vengano i controlli da parte delle autorità: i mercati di Campagna Amica operano nella piena trasparenza». Dello stesso avviso Maurizio Francescon, Confesercenti: «Ci rimettiamo tutti, dai consumatori convinti di acquistare prodotti nati a due passi da casa che invece arrivano dall’estero, ai produttori seri, screditati da questi comportamenti, ma anche i commercianti che hanno cominciato a firmare contratti con piccoli rivenditori e mettono in commercio prodotti a chilometro zero».

Nicola Munaro – Corriere del Veneto – 8 aprile 2014

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