Vertice in prefettura. «Situazione al limite, è questione di sicurezza». I cinghiali e la campagna padovana. Un legame contrastato ma ormai indissolubile. Come ci siano arrivati, non è certo. Due in particolare sono le storie che circolano tra i sessantamila abitanti dei colli Euganei, nel Padovano. E ciascuna, come ogni storia di paese che si rispetti, mischia fantasia a verità.
Non c’è da stupirsi quindi se alcuni parlano di cacciatori che, stanchi di farsi ore di macchina, li hanno introdotti. O se altri danno la colpa a un amatore che dal suo allevamento privato si è fatto scappare una coppia, poi capostipite di una discendenza pressoché infinita.
La loro origine, però, adesso non interessa più a nessuno perché il vero grattacapo è il disastro che provocano ai raccolti e agli stessi residenti. Loro, i protagonisti di tutto, sono i cinghiali. Ospiti mal digeriti, da una ventina d’anni, degli Euganei: un territorio che non fa per loro ma a cui i sus scrofa (il nome esatto in tassonomia) si sono adattati benissimo, diventandone padroni e dando vita a una lotta che profuma di tempi antichi, quando l’uomo e le belve spesso si contendevano il dominio su un terreno. Già, perché il territorio del Parco Colli Euganei è fortemente antropizzato e coltivato: filari di viti arrivano ai confini con boschi lasciati ancora come Madre Natura li ha creati e dove popolano – «secondo natura e senza creare casini», raccontano i contadini – lepri, bisce, rapaci e ricci. Non cinghiali: per loro posto non c’è più posto. E questo sono andati a dire, ieri mattina, i rappresentati di Coldiretti al Prefetto di Padova, Ennio Mario Sodano.
«La situazione è al limite, ora è una questione di sicurezza anche per l’uomo. Serve che il Prefetto dia l’autorizzazione a sparare a compagnie di cacciatori addestrate e in luoghi circoscritti», afferma Walter Lucchetta, direttore della sezione padovana di Coldiretti. «Questi non sono cinghiali, ma bestie che si sono mischiate con i maiali nostrani arrivando a pesare anche fino a due quintali quando un cinghiale medio pesa 80 chili: sono dei mostri. Più cinghiali ci sono, più aumentano i pericoli e il bracconaggio».
Il bracconaggio, appunto. Perché dove le istituzioni sono lente e imbrigliate da maglie sempre più fitte, l’uomo riprende la guerra per il predominio sul luogo che ha scelto come casa. E allora non è difficile sentire gli abitanti dei colli raccontare di aver passato le nottate insonni a inseguire cinghiali imbracciando un fucile. Qualcuno fa anche sfoggio della foto di una balestra medioevale pienamente funzionante con cui si vanta di aver centrato un esemplare di oltre un quintale. E ancora, chi dice di non essere potuto andare a lavoro perché tutt’intorno alla macchina una mattina aveva trovato un branco di cinghiali e non si era fidato ad uscire. O altri che narrano di appostamenti al buio per scovare le famiglie ed eliminarle guadagnandoci anche ottime carni con cui dare vita a cene massoniche. Perché sui colli Euganei la caccia è vietata, anche per i cinghiali. Gli unici che possono tenersi qualcosa sono i privati collaboratori del Parco Colli o le guardie del Parco che possono far macellare un esemplare ogni cinque di quelli catturati.
«Questi cinghiali – ammette Gianni Biasetto, presidente del Parco Colli Euganei – arrivano dall’Est Europa. I primi avvistamenti risalgono a vent’anni fa sul monte Fasolo. Il vero guaio è che si riproducono in maniera esponenziale: le scrofe fanno due covate da sette cuccioli all’anno, e le femmine nate in primavera possono essere ingravidate già a settembre. In quattro anni noi ne abbiamo catturati e uccisi quattromila». Ma non basta, perché sono sempre più i raccolti distrutti. E la rabbia aumenta.
Nicola Munaro – Corriere del Veneto – 6 luglio 2013