È considerato, oggi, una delle punte di diamante della scuola medica patavina. Un fuoriclasse assoluto. Alle spalle, nonostante la «giovane» età (è del 1962), ha già oltre 300 trapianti di fegato come primo operatore. Per lui vengono da tutto il mondo. È il professor Umberto Cillo, direttore di Chirurgia Epatobiliare e Trapianto Epatico in Azienda ospedaliera.
Professore, lei rappresenta l’eccellenza della sanità padovana. Come ha accolto la notizia dell’ennesimo rallentamento nell’iter di realizzazione del nuovo ospedale (venerdì tra i soggetti istituzionali coinvolti non si è trovato l’accordo sulla scelta dell’area di San Lazzaro)?
«Vuole che le dica? Dopo aver letto il cinquantesimo articolo sul caso, che da conto dell’infinitesimo rinvio, ormai il tema mi appassiona poco».
Cosa intende?
«I tempi si sono allungati: probabilmente sarò in pensione quando l’opera verrà completata. La vera sfida oggi è un’altra: riguarda le tecnologie di avanguardia, l’espansione informazionale, l’intreccio delle reti».
Vuole dirci che si può anche fare a meno di un nuovo ospedale?
«La gente pensa che costruendo un nuovo monoblocco si risolvano tutti i problemi. Non è così. Ci vogliono i professionisti e gli strumenti. E Padova da questo punto di vista è al top: qui abbiamo gente che fa paura e la nostra sfida è con Milano più che con Verona. In questi giorni, per esempio, stiamo cercando di recuperare un finanziamento importante per la ricostruzione della realtà virtuale del fegato. Noi dobbiamo stare sul mercato: ci sono università che utilizzano già i Google glass e la realtà aumentata. Sono questi i temi caldi per me».
Ma si può restare in vetta con una struttura obsoleta?
«Io sono un pragmatico. Il policlinico oggi è al centro di un’imponente ristrutturazione. È vero, opero con il trapano nelle orecchie; ma stringo i denti, perché so che apriranno presto nuove sale operatorie. Un nuovo ospedale? Si doveva cominciare 15 anni fa…».
E perché, secondo lei, si è persa l’occasione? E di chi è la colpa?
«Ci sono stati momenti di difficoltà economica, ma questo non basta a spiegare; perché altrove gli ospedali sono sorti, penso a Schiavonia o a Mestre. Io credo che la generazione di medici che ci ha preceduto si sia caratterizzata per una forte conflittualità: i vecchi primari, quelli che dovevano presentare ai politici i problemi, erano troppo impegnati a gestire i loro conflitti interni. Ora la mia generazione è diversa: più moderna, compatta, inclusiva».
Ma questa politica è pronta a recepire le nuove istanze? L’impressione è che non riesca più a decidere…
«Sull’iter del nuovo ospedale si sono innestate influenze politiche e fazioni e mi rendo conto che tornare indietro su alcune decisioni ora sia difficile. Bitonci ha fatto saltare gli schemi e ora deve trovare una soluzione. Ma diamogli tempo».
La soluzione ottimale, anche per l’area, insomma quale sarebbe?
«Ho criticato l’eccesso di trasposizione sulla stampa di questa discussione: la gente non ha i dettagli per valutare. Il nuovo ospedale si farà, ma ormai facciamo sì che la scelta venga presa in modo oculato. Siano i tecnici a decidere, senza pressioni e a dare in mano ai politici l’indicazione giusta».
Giovanni Viafora – Il Corriere del Veneto – 30 novembre 2014