A dieci anni dall’acquisto, appena due legislature se la si guarda attraverso le lenti della politica, la Regione medita la vendita di Palazzo Torres Rossini, la grande «dependance» del consiglio comprata nel 2003 per 20 milioni di euro con lo scopo di dare più spazio ai partiti che all’epoca affollavano la storica sede di Palazzo Ferro Fini (si contavano 14 gruppi, oggi sono scesi a 9).
L’avvio delle operazioni è contenuto in un sub emendamento presentato dalla giunta, e poi approvato dall’aula, al bilancio votato nella notte tra giovedì e venerdì, che ha assorbito un emendamento presentato dal consigliere di Rifondazione Pietrangelo Pettenò, rendendolo, per così dire, un po’ meno tranchant. Pettenò proponeva infatti la vendita qui e ora del Palazzo (un’ipotesi che ha solleticato più di qualcuno nella maggioranza) mentre nella nuova formulazione soft il consiglio autorizza sì la giunta a procedere con l’alienazione, ma prevedendo in subordine la possibilità di predisporre un piano di razionalizzazione che trasferisca al Torres Rossini gli uffici della Regione oggi sparsi (in affitto) in giro per Venezia. «Certo la prima opzione è la più auspicabile – chiosa il presidente del consiglio, Valdo Ruffato – ma anche la seconda non sarebbe male, visto che ci permetterebbe di risparmiare qualcosa come 330 mila euro all’anno». Sia l’una o sia l’altra, quel che è certo è che il Torres, così com’è, serve a poco ed ancor meno servirà dalla prossima legislatura, visto che la nuova legge elettorale riduce ulteriormente il numero dei consiglieri. «Possiamo starci tranquillamente tutti al Ferro Fini» sentenzia Ruffato, certificando così l’inutilità di un’operazione che, sotto la regia dell’allora presidente Enrico Cavaliere, suscitò molte polemiche già nel 2003, vuoi per il costo (20 milioni per 2.500 metri quadri), vuoi perché gli stessi consiglieri per la cui comodità il palazzo era stato acquistato a lungo rifiutarono di mettervi piede («E’ scomodo»). Oggi si trovano lì gli uffici di Pd, Udc e Idv e quelli del Corecom. Tant’è, resta ora da capire se e come la Regione riuscirà a sbarazzarsene, dal momento che il mercato immobiliare è quello che è, come sa bene la giunta che da 2 anni sta provando a dar corso ad un massiccio piano di vendita senza alcuna fortuna (dopo due aste deserte, nel bilancio approvato ieri le entrate previste alla voce «alienazioni» sono state dimezzate a 40 milioni).
Sempre spulciando il documento contabile licenziato con tre mesi di ritardo rispetto a quanto previsto dalla legge si confermano i tagli pesantissimi (meno 1,3 miliardi complessivi, meno 40% nelle risorse a libera destinazione bloccate a 993 milioni e, per la prima volta, meno 100 milioni nel fondo sanitario regionale) e l’attenzione dei consiglieri alle famiglie in difficoltà ed al mondo dell’impresa (si veda il dettaglio nell’articolo qui sotto), che ha suscitato il plauso del presidente di Confartigianato Giuseppe Sbalchiero, soddisfatto anche per l’emendamento presentato dalla Lega, poi approvato all’unanimità, relativo alla certificazione dei crediti delle imprese verso la Regione e le Usl, che potranno così essere anticipati dalle banche: «E’ stato dato un segnale forte e unitario». In chiusa segnaliamo il punto messo a segno con gran sudore dal presidente della commissione Trasporti Andrea Bassi nell’eterna lotta contro l’assessore alla Mobilità Renato Chisso: nella ripartizione dei fondi per il trasporto pubblico (406 milioni totali), 150 milioni andranno ai treni e 256 milioni a bus e vaporetti, ma in quest’ultimo caso è stata rivista la suddivisione percentuale interna tra linee urbane (avranno il 34,5%), extraurbane (49,5%) e navigazione (16%). Il che significa che Venezia avrà 41 milioni di euro per vaporetti e affini, contro i 45 milioni dello scorso anno e i 52 milioni del 2011. Il Comune aveva lanciato l’allarme nei giorni scorsi, fissando la soglia «critica» al 17% del budget.«Il riparto è illegittimo» tuona il Pd «Chisso si dimetta».
Marco Bonet – Corriere del Veneto – 23 marzo 2013