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Paternità o carriera. Chi prende il congedo per stare col figlio si vede penalizzato su lavoro e stipendio. Esattamente come accade alle mamme

Se gli indicatori economici fanno dire agli esperti che gli Usa vanno più veloci dell’Europa, i dati sui congedi parentali mostrano una tendenza opposta: in quattro anni (2010-2014) la quota delle aziende a stelle e strisce che offrono la possibilità ai papà di assentarsi per occuparsi dei bebè è sceso di cinque punti percentuali (Società per la Gestione delle Risorse Umane).

Paradosso della storia. Almeno a sentire il New York Times , che così sintetizza la questione: fare il «mammo», come si chiama da noi poco bonariamente il papà casalingo, potrebbe penalizzare la carriera dei maschi. Che si troverebbero ad affrontare gli stessi problemi che hanno in molte parti del mondo le donne, quando si assentano dal lavoro alla nascita di un figlio.

Una questione «femminile» al maschile. Il giornale cita il caso di Todd Bedrick, un contabile che s’è preso una lunga pausa dalla Ernst & Young per dedicarsi alla figlia. Ha imparato a cullare, a farla addormentare e ha elaborato un sofisticato congegno per far congelare e scongelare il latte materno di sua moglie. Ma un sociologo, Scott Coltrane, che studia la paternità all’Università dell’Oregon, ammette che ancora qualche pregiudizio c’è sugli uomini che affermano di mettere al primo posto i figli rispetto al lavoro. Perché il caso Bedrick rischia di mutare profondamente la cultura sul posto di lavoro.

La famiglia del contabile della Ernst & Young ne ha tratto beneficio, sua moglie Sara guadagna di più e ha meno possibilità di entrare in depressione nei nove mesi dopo il parto. Il problema, secondo recenti opinioni di sociologi americani, è che con le donne capofamiglia soddisfatte, i maschi cominciano a preoccuparsi degli effetti che il congedo di paternità potrebbe avere sulle loro carriere.

Una situazione simile, per certi aspetti, a quella italiana, dove la sfida non è solo convincere i datori di lavoro ad offrire il congedo, ma gli uomini a prenderlo. Le statistiche mostrano che sono ancora basse le percentuali dei maschi che accedono al congedo parentale. Per l’Istat solo il 7 % dei padri vi fa ricorso. L’Inps grosso modo fotografa lo stesso: l’88% dei congedi facoltativi è appannaggio delle donne.

Per Paola Profeta, professoressa di Scienze delle finanza all’Università Bocconi, la situazione è destinata a restare così, anche in futuro, in assenza di una vera svolta culturale. «Lo squilibrio è tutto a sfavore delle donne che hanno stipendi mediamente inferiori a quelli dei loro mariti. Con una retribuzione al trenta per cento in caso di congedo si fa presto a fare due calcoli in famiglia e optare per far restare a casa la donna».

Per la professoressa bocconiana la strada da seguire è quella dei Paesi scandinavi: «In Svezia o in Norvegia si arriva fino a un mese di congedo obbligatorio retribuito per i maschi. Solo così è stato possibile ridurre lo sbilanciamento dei ruoli che in Italia assegna prevalentemente alle donne la cura dei bambini. Se tutti i maschi avessero gli stessi diritti si attenuerebbe anche l’effetto americano: la rinuncia per paura di limitare la carriera».

I dati Eurostat dicono che in Italia la spesa per congedi è pari allo 0,2% del Pil. In Svezia siamo allo 0,8%. Anche se rientriamo tra i Paese più generosi quanto a soldi per maternità.

Tuttavia i numeri non dicono tutto. Almeno per Ivo Lizzola, docente di Pedagogia sociale all’Università di Bergamo che alla paternità ha dedicato un libro. Riconosce che ancora i numeri sono bassi. Ma dopo aver condotto un’indagine sociologica sul campo s’è convinto che in Italia ci sia voglia di paternità. Che la svolta culturale sia già in atto. Soprattutto nell’Italia Centro-settentrionale.

«Molti maschi vorrebbero passare più tempo con i loro figli, ripensare in modo diverso la loro presenza nella famiglia. Soprattutto nel campo dell’associazionismo dove maggiore è la possibilità di aiuto reciproco tra padre e madre. Il problema si scontra con un mercato del lavoro estremamente competitivo, deregolamentato e poco organizzato per favorire i papà». In attesa di riforme, il Maschio italiano può sempre apprendere da Bedrick: che cerca di tornare a casa presto per fare il bagno alla figlia.

Agostino Gramigna  – Il Corriere della Sera – 9 novembre 2014 

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