Patroni Griffi: “Dipendenti pubblici già licenziabili, basta applicare norme”
In una lettera al Corriere della Sera in risposta ad un articolo di Dario Di Vico, il ministro della Pubblica Istruzione puntualizza la sua posizione sui licenziamenti nella pubblica amministrazione. E si difende: “Non sono uno che ripudia il merito per cercare consenso”
Una risposta ad un articolo di Dario Di Vico con una lettera al Corriere della Sera per sottolineare che i dipendenti pubblici sono ”già licenziabili” e che il problema è “rendere applicabili quelle norme”. Per questo motivo, il governo sta “lavorando senza falsi annunci, finte riforme e slogan da stadio”. E’ quanto scritto dal ministro della Pubblica amministrazione, Filippo Patroni Griffi, per specificare, in risposta ad un articolo di Di Vico, di non essere “uno che ripudia il merito per cercare consenso, non foss’altro perché non mi è mai servito”. Non solo. Il ministro ha anche aggiunto di non essersi “mai posto il problema di rappresentare ‘dipendenti pubblici conservatori’ né in questo governo, e nella mia vita professionale” perché “rappresento alcuna ‘costituency‘ perché non devo essere eletto”.Per quanto riguarda i licenziamenti nella pubblica amministrazione, ha aggiunto Patroni Griffi, “tema diverso è quello delle conseguenze del licenziamento illegittimo” che è “tecnicamente complicato”. Se “è il politico che licenzia il dirigente apicale, prevedere il solo indennizzo significa consentire al politico di ‘fidelizzare’ il dirigente, tanto se lo licenzia illegittimamente il dirigente resta fuori e Pantalone paga l’indennizzo”.E “se il dirigente licenzia un dipendente illegittimamente e prevediamo solo l’indennizzo, delle due l’una: o il dirigente è responsabile personalmente, e allora addio licenziamenti; o lo esoneriamo dalla responsabilità e riprende a pagare Pantalone”. Questo è il problema che “dovrà affrontare il Consiglio dei ministri prima e il Parlamento poi”. Problema che deriva “da una differenza oggettiva tra datore di lavoro pubblico e privato”.Patroni Griffi, infine, ha respinto le critiche per aver accettato “da chi siede in Parlamento, dove ancora si usa approvare le leggi” di scendere da tre a un anno “per il divieto di incarichi dirigenziali per ex amministratori” introdotto con il dl anti-corruzione
La lettera di Patroni Griffi al Corriere: licenziamenti, non cerco il consenso
Caro Direttore,
Fatti separati dalle opinioni è la regola aurea del giornalismo inglese. Ma fino al punto che le opinioni siano non fondate sui fatti? Questo interrogativo mi ha suscitato l’articolo di Di Vico, che, oltre che inesattezze contiene un tasso di aggressività verbale che non ero solito rinvenire in un giornale come il «Corriere». I punti cui fa riferimento sono due: licenziamento degli statali e norma «anti trombati» del ddl anticorruzione. Licenziamento degli statali. Detta così siamo già fuori tema: i dipendenti pubblici sono già licenziabili per le cause previste dalla legge (e non solo dai contratti, come per il privato) e questo sistema, con buona pace per alcune richieste sindacali, è destinato a rimanere perché vi è un interesse pubblico (art.97 Cost.): i doveri disciplinari dei pubblici sono più forti di quelli dei privati e il pubblico che sbaglia deve pagare di più del privato perché ha tradito la fiducia dei cittadini non solo del suo datore. Il problema è rendere effettive e applicate quelle norme e a questo stiamo lavorando, senza falsi annunci, finte riforme e slogan da stadio, che forse guadagnano meglio i titoli dei giornali ma che non dovrebbero essere cavalcati da autorevoli opinionisti. Tema diverso è quello delle conseguenze del licenziamento illegittimo, e, pur non pretendendo che chi parli studi prima, si sappia che è un tema tecnicamente complicato. Due problemi: a) se è il politico che licenzia il dirigente apicale, prevedere il solo indennizzo significa consentire al politico di «fidelizzare» il dirigente, tanto se lo licenzia illegittimamente il dirigente resta fuori e Pantalone paga l’indennizzo: questo lo ha già notato la Corte costituzionale, che nel 2008 ha annullato una legge regionale che prevedeva l’alternativa; b) se un dirigente licenzia il dipendente illegittimamente e prevediamo il solo indennizzo, delle due l’una: o il dirigente è responsabile personalmente, e allora addio licenziamenti; o lo esoneriamo dalla responsabilità e riprende a pagare Pantalone. Questo è il problema che dovrà affrontare il Consiglio dei ministri prima e il Parlamento poi; e deriva da una differenza oggettiva tra datore di lavoro pubblico e privato. Sul punto io studio, come è mia abitudine, senza pormi il problema di «rappresentare dipendenti pubblici conservatori» (cosa vorrà dire?). Il paradosso è la norma «anti trombati». Allo scopo di rafforzare l’impianto della prevenzione della corruzione in un disegno di legge già pendente alla Camera, su cui in passato non mi risulta che Di Vico si sia cimentato, istituisco un’autorevole commissione di studio, organizzo un seminario di riflessione, incontro l’Ocse, presento, come Governo, un corposo pacchetto di emendamenti che prevedono piani anticorruzione, individuazione di aree a rischio, rotazione dei dirigenti, trasparenza delle procedure, e così via e mi sento dire, da uno che evidentemente nemmeno si legge i lavori parlamentari, che sono «rappresentante di ex politici a caccia di poltrone» perché ho accettato (da chi siede in Parlamento, dove ancora si usa approvare le leggi) che il divieto di incarichi dirigenziali per ex amministratori, che io, come Governo, voglio introdurre, passi da tre anni (come avevo proposto) a un anno? E dopo essermi occupato di tetti stipendiali e di riduzione di auto blu e sprechi vari? Qui il problema non è tecnicamente complesso e quindi non perdo il mio tempo a spiegarlo. Due notazioni finali (e personali): a) in questo Governo, e nella mia vita professionale, non rappresento alcuna «constituency», perché non devo essere eletto, e nemmeno letto: finora mi sono limitato a contribuire al suo operato con il decreto semplificazioni, seguendo i lavori sulle riforme e la spending; b) non ho passato tutta la mia carriera tra scrivanie di capo di gabinetto e di ufficio legislativo (ammesso che lavorare con ministri del calibro di quelli con cui ho avuto l’onore di lavorare sia un demerito), perché la mia carriera mi ha portato a fare il magistrato, anche in posizioni di prestigio, dopo aver superato tre concorsi aperti al pubblico, di notevole difficoltà, l’ultimo dei quali ha ispirato anche una novella di Pirandello. Che consiglierei di leggere. Non sono uno che ripudia il merito per cercare consenso, non foss’altro perché non mi è mai servito.
Filippo Patroni Griffi
Ministro Pubblica Amministrazione