Come Alberto Sordi ne «La grande guerra»: «Com’è il rancio?». «Ottimo e abbondante, signor comandante». Nel Veneto dove un terzo degli elettori ha votato per il Carroccio e un altro terzo per il Pdl l’accordo della «notte di Arcore» non piace a nessuno, ma è considerato indispensabile. Soprattutto per la Lega Nord.
E dunque tutti insieme pragmaticamente. Tra i big giornata di dichiarazioni prudenti e compassate. Flavio Tosi, segretario nazionale della Liga veneta, aspetta la conferenza stampa di Bobo Maroni e poi diffonde questa dichiarazione: «L’accordo è vincente perché conviene anche al Veneto». Ma appena dieci giorni fa tuonava: «L’alleanza tra Lega e Pdl non è vista affatto bene negli umori della gente e anche se fosse riproposta alle politiche sarebbe inutile e forse anche dannosa». Ancora meno entusiasta è Luca Zaia, presidente del Veneto: «Oggi si chiude un ottimo accordo, con cui conquisteremo una regione chiave come la Lombardia». Meno di un mese fa aveva dichiarato: «Fino a prova contraria la Lega va da sola alle prossime Politiche». I due dioscuri della Lega Nord, che ogni giorno consumano le suole delle scarpe in provincia, sanno benissimo che sarà dura convincere il loro popolo a digerire il nuovo sogno della «macroregione» e del 75 per cento delle tasse sul territorio. Sanno benissimo che l’accordo serve soprattutto a conservare un po’ di voti in Lombardia e una manciata di parlamentari in più nel Veneto (al Senato, ad esempio, dovrebbero passare in nove). Nessun salto di gioia neanche dalle parti del Popolo della libertà: «Era nelle cose, mi sarei sorpreso se non vi fosse stato – spiega Marino Zorzato, vice governatore del Veneto –. Siamo affini perché vogliamo meno tasse, abolire l’Imu, ridurre la spesa pubblica e la burocrazia. Certo, abbiamo sensibilità diverse in fatto di Europa, ma tutto sommato conciliabili. Detto questo, l’euroregione è un’idea anche nostra e lasciare più tasse sul territorio è un’esigenza assoluta». Assolutamente pragmatico è anche Maurizio Castro, senatore del Pdl alla prima legislatura: «Un atto necessario di razionalità politica, un accordo fatto con la ragione più che con il cuore». Ma è soprattutto tra i colonnelli della Lega Nord che l’accordo fatica a transitare. Il segretario provinciale di Belluno, Diego Vello, spiega: «Se devo ascoltare la militanza, pochi vedono di buon occhio questo accordo. A Belluno, poi, ricordiamoci che il Pdl ha fatto cadere la Provincia». Flavio Tosi riconosce che la valenza dell’intesa di Arcore è soprattutto per la Lombardia: «Questa alleanza ci interessa più a livello locale che nazionale – riconosce il sindaco di Verona – perchè potrà garantire la vittoria in Lombardia di Maroni.Nell’accordo la Lega ha chiesto e ottenuto che Berlusconi non sarà né il candidato premier di questa campagna elettorale né il capo del governo nel caso, stando ai sondaggi non molto probabile, di vittoria alle elezioni politiche», Ma si chiama subito fuori da incarichi di governo: «Lo avevo sempre detto, anche perchè fare il ministro e il sindaco sarebbe incompatibile».
Militanti in rivolta «È un patto assurdo» L’apparato annaspa
TREVISO «Venerdì sono andato a letto con il Pdl nemico e convinto che come ai bei tempi si corresse da soli. Mi sveglio lunedì e mi ritrovo alleato del nemico. No, cari, non è questa la mia Lega. Non se so restituisco la tessera, ma devo pensarci sopra». Il militante, 20 anni e passa di tessera del Carroccio, è di quelli che attacca ancora i manifesti di notte, batte il territorio porta a porta. L’anima del Carroccio che ha trasformato l’ex Vandea democristiani in uno dei feudi padani che da quasi 20 anni non mostra segni di cedimento. È la base trevigiana che non ha mai digerito il Pdl, e lo ha detto anche quando altrove si digeriva il patto con il Cavaliere. «Da soli, sempre» il loro slogan, smentito a ripetizione. Ieri , alla notizia del nuovo accordo, è rimasta sotto shock. Pensava di essersi lasciata alle spalle il Cavaliere e il suo partito, e invece riparte da lì anche con la nuova Lega 2.0 targata Maroni-Tosi. Tomasi di Lampedusa era tutt’altro che padano, ma la lezione del Gattopardo, evidentemente, vale anche lungo il Po. E così ieri, all’annuncio dell’intesa, è stata subito valanga di messaggi su facebook, chiamate ai segretari e ai big di riferimento. Cellulari roventi. E prime discussioni in osteria e nei templi del voto leghista sotto i cento campanili della Marca. Figurarsi i duri e puri, quelli del «soli sempre», del popolo, delle partite Iva e dei piccoli artigiani. Restituzione delle tessere? «Guardate che non siamo più tantissimi, soprattutto militanti», avverte un segretario di circoscrizione della maggioranza maroniana, «il problema sono gli elettori, quelli che hanno creduto in noi, ci hanno votato, e che ora sono disorientati come e più di noi». E figurarsi se l’apparato «malpancista» esce allo scoperto: ma qualcuno che parla apertamente c’è. «Mal di pancia? Calcoli renali, e grossi», avverte l’ex segretario provinciale Da Re, bossiano mai pentito, «non sono d’accordo con questa scelta, non è un mistero. Ma da buon soldato come sono stato sempre mi adeguerò». Arnaldo Pitton, l’uomo forte dell’Opitergino Mottense, oggi vicesegretario provinciale, aveva giurato pubblicamente, e più volte, di restituire la tessera se fosse ritornato il patto con il Pdl. E adesso, come la mettiamo? «Se proprio devo mangiare questa m…., mi facciano capire perché, e cosa c’è sull’altro piatto della bilancia. Mi stanno chiamando in molti, tutti vogliono capire. E lo chiedo anch’io: cosa portiamo a casa qui?». In attesa delle risposte, c’è chi ha certezze: Pierantonio Fanton, duro e puro di Treviso, acchiappavoti nei quartieri popolari del capoluogo (ex quartieri rossi compresi), oggi vicepresidente dell’Ater: «Qui a Treviso, mai: la base l’ha detto e ripetuto. Il Pdl non porta voti, ma ancor prima non ci sono proprio le condizioni», dichiara, «poi se per la Lombardia e per il Parlamento ci sono altri discorsi, può star bene. Se serve a far vincere Maroni in Lombardia, può starci. Ma per fortuna le elezioni sono separate, altrimenti sarebbe stato un problema correre assieme alle politiche e divisi alle amministrative lo stesso giorno». Fra chi non capisce c’è anche Fulvio Pettenà, presidente del consiglio provinciale, uno degli Zaia-boys: «Ritorniamo dove eravamo, mi pare chiaro», commenta, «l’abbiamo saputo dalle agenzie. A questo auspico che davvero chi ha fatto questa scelta lo spieghi, nel nostro territorio: nelle sezioni ma soprattutto nelle piazze, nei bar e davanti alle fabbriche. E andrà spiegato bene».
Il Mattino di Padova – 8 gennaio 2013