Nessuna mitigazione della severità contabile, però, riporterà al Tesoro i miliardi che sta perdendo man mano che i suoi 168 miliardi di euro in derivati vanno a scadenza. E confermano, quasi alla virgola, le previsioni insite negli scenari probabilistici.
I dati Eurostat di giovedì hanno ribadito che l’Italia è il Paese che in Europa paga di più sui derivati pubblici: nel 2015, tra esborsi di cassa e perdite di competenza, questi strumenti finanziari sono costati 6,8 miliardi (portando a 21,3 miliardi la perdita dal 2012). Il dato rappresenta un record negativo – secondo l’Ufficio parlamentare di bilancio dal 2011 il costo medio è 4,2 miliardi annui – e di fatto annulla i benefici dei tassi bassi sul debito pubblico italiano. Stimando infatti che l’anno scorso si sono rifinanziate emissioni per circa 250 miliardi, con risparmio di tasso attorno al 2%, saremmo a 5 miliardi di minori oneri finanziari.
Come noto il 65% dei derivati della Repubblica è costituito da scambi di tasso (tra fisso e variabile) e durata; e proprio su questa tipologia si accatastano le perdite potenziali: in base agli ultimi dati noti, di fine 2014, circa 33 miliardi su 42 miliardi di valore di mercato negativo delle posizioni. Il Tesoro ha sempre rivendicato l’uso dei derivati per coprire dai rischi di tassi e di cambi i titoli pubblici. Ma per più addetti ai lavori tanto sbilancio va imputato a mosse sbagliate sulla curva dei tassi: gli interventi di espansione monetaria della Bce per arginare la crisi dei debiti sovrani del 2011 hanno portato allo zero i tassi, mentre il Tesoro s’era “assicurato” contro quelli alle stelle. «Gran parte delle perdite potenziali è legata a strategie speculative scrivevano in un’analisi del Nens di novembre gli economisti Marcello Minenna e Vincenzo Visco -. Infatti gli Irs di duration sono contratti in cui l’Italia s’impegna a corrispondere alle controparti flussi a tasso fisso e a ricevere flussi variabili. Essendo gran parte dei titoli italiani a tasso fisso, tale strategia equivale a una scommessa in cui si raddoppia la posta: si guadagna se i tassi salgono mentre si va incontro a ingenti perdite se scendono». Lo studio, basandosi sugli scenari probabilistici, prevedeva «probabilità del 99,5% di esborso a carico dell’Italia per i prossimi due anni, con esborso medio di circa 6,5 miliardi». Il 2016 si annuncia con nuove perdite: dalla risposta del governo a un’interrogazione di M5s si legge che a marzo c’era una clausola d’estinzione anticipata su 2 miliardi di derivati Irs, con valore di mercato negativo per 849 milioni perché fino al 2036 hanno un «tasso fisso da corrispondere del 3,8125%, disallineato rispetto a quelli vigenti».
Repubblica – 24 aprile 2016