La domanda è legittima. Visto che il Partito Democratico esprime il premier e conta il maggior numero di parlamentari eletti. E lo è anche perché le idee di Letta, al di là dei compromessi indispensabili per un governo bicolore, non sono proprio le stesse del programma sanità del partito “ante congresso”
Visto che questo giornale si occupa esclusivamente di sanità e visto che il Pd esprime la presidenza del Consiglio e che è il partito con i gruppi parlamentari più consistenti sia alla Camera che al Senato, ci sembra giusto provare a capire quale potrebbe essere la sua linea in materia sanitaria.
Per rispondere dovrebbe essere sufficiente andarsi a riprendere il programma sanità del Pd, quello approvato all’unanimità all’Assemblea nazionale del 2011 e di fatto mai cambiato (tant’è che su quelle idee si è impostata anche la campagna elettorale in materia alle ultime elezioni di febbraio).
Ma qualche dubbio è più che legittimo. A partire proprio dal pensiero del neo premier Enrico Letta. Come abbiamo già ricordato al momento del suo insediamento a Palazzo Chigi, Letta, che per alcuni anni è stato responsabile nazionale del Welfare del Pd, ha delle idee abbastanza diverse rispetto al programma ufficiale del partito del 2011.
Basti pensare che già nel 2009, quando tenne la sua relazione sul “nuovo Welfare”, i suoi accenni alla sanità erano già in qualche modo in controluce rispetto al documento “La sanità che vogliamo” presentato pochi mesi prima dallo stesso Pd e sponsorizzato dal segretario dell’epoca Dario Franceschini. Un documento a cui aveva lavorato, tra gli altri, Serafino Zucchelli (allora ex sottosegretario alla Salute nel Governo Prodi) e in quel tempo coinvolto nella consulta sanità del Pd.
Dove Letta parlava di “secondo pilastro privato”, il documento di Zucchelli, sosteneva l’unicità del Ssn pubblico in pieno stile 833/299.
Ma all’epoca queste differenze furono sostanzialmente ignorate, anche perché Letta, tranne quella parentesi, si distolse ben presto dal welfare e dalla sanità, diventando vice segretario nazionale con Pier Luigi Bersani segretario. Quest’ultimo rinnovò la squadra della sanità del partito, affidando a Beppe Fioroni il posto che era stato di Letta, come responsabile Welfare, e al ticket Roberta Agostini (membro della segreteria nazionale) e Paolo Fontanelli (deputato toscano) il mandato di responsabili nazionali della sanità.
In breve tempo la linea che si affermò nel partito fu quella in qualche modo anticipata dal documento “La sanità che vogliamo” nel 2009 e che portò al nuovo documento “La salute in tutte le politiche” approvato dall’assemblea nazionale del Pd nel 2011 e che, come abbiamo visto, diventò il programma ufficiale per la sanità del Pd.
Quel programma, pur considerando l’opportunità rappresentata dal filone della mutualità integrativa, ribadiva senza se e senza ma, il valore del Ssn come corpus unico posto a garanzia del diritto alla salute, riaffermandone i valori di universalismo, equità e solidarietà e sostenendone convintamente la sostenibilità economica.
Ora, come stanno le cose? Intanto partiamo dai destini dei protagonisti di quel periodo. Letta è premier e nel suo discorso alle Camere ha rilanciato, quasi letteralmente, le sue idee del 2009 sulla necessità di superare un welfare basato solo su pensioni e sanità, lasciando intravedere una nuova stagione di riforme nel campo della sicurezza e protezione sociale, sanità compresa.
Beppe Fioroni, che sul welfare la pensa sostanzialmente come Letta, ora sta alla Commissione Difesa. Serafino Zucchelli è da qualche anno presidente dell’Onaosi, concludendo così la sua breve parentesi politica dopo gli anni da sindacalista dell’Anaao. Roberta Agostini, eletta per la prima volta in Parlamento quest’anno (era consigliera della Provincia del Lazio) è vice presidente della Commissione Affari Costituzionali della Camera e Paolo Fontanelli, rieletto alla Camera, è diventato Questore e fa parte anche lui, come Fioroni, della Commissione Difesa. E infine le due figure storiche della sanità Pd: le due ex ministre della Salute Rosy Bindi e Livia Turco, da tempo fuori da un coinvolgimento attivo e diretto sulle questioni sanitarie nazionali.
Insomma la “squadra sanità” del Pd non esiste più e dalle scelte fatte sembra che come tale non si ripresenterà.
Ma nel frattempo, quindi, in attesa del Congresso nazionale che ridisegnerà linea e quadri dirigenti nazionali e di settore, come si comporterà il Pd sulla sanità? Perché è fuor di dubbio che la sanità, sempre che questo Governo duri, sarà toccata dall’iniziativa di Letta & C.
Un primo assaggio ce lo ha dato oggi il neo ministro alla Salute Beatrice Lorenzin che i più informati indicano ideologicamente vicina all’attuale presidente della Commissione Lavoro e Previdenza Sociale del Senato, Maurizio Sacconi, autore del famoso Libro Bianco sul Welfare, le cui idee non sono poi così distanti da quelle sintetizzate da Enrico Letta nel suo discorso alle Camere e nello stesso suo già citato documento sul Welfare del 2009.
Ebbene, questa mattina davanti ai medici della Cisl, Lorenzin ha esordito sostenendo la necessità di “un nuovo modello organizzativo e strutturale del Ssn”. Parole importanti che, seppur ovviamente ancora non articolate in alcun progetto organico di riforma, lasciano intendere, se non altro, la volontà di mettere le mani sugli assetti del nostro sistema sanitario e non per “ammodernarlo” o manutenerlo” come negli ultimi anni hanno cercato di fare via via, Livia Turco, Ferruccio Fazio e Renato Balduzzi.
La prima uscita pubblica di Lorenzin lascia intravedere ben altre intenzioni, sulle quali non abbiamo ancora elementi sufficienti per compiere analisi e critiche ma che, senza dubbio, è bene fin d’ora tenere in considerazione.
Ebbene, di fronte a questi possibili scenari di riforma il Pd, che sulla sanità ha sempre caratterizzato la sua presenza di “garante” del Ssn, che dice o che dirà? Lascerà una delega in bianco a Lorenzin? Cercherà di capire meglio quali sono le idee sul tema del “suo” premier? Affronterà la questione in modo chiaro e netto, anche in vista del suo congresso, o farà finta di niente per disinteresse o perché i problemi sono “altri”?
Badate. Il problema non è solo sui grandi scenari futuribili, che non è detto vedremo giungere a conclusioni concrete in questa legislatura, il problema sta anche nell’immediato, quando si dovrà ragionare sulle risorse per tener fede agli impegni presi con la fiducia al Governo Letta. L’imu, l’iva, la diminuzione delle tasse sul lavoro e il rifinanziamento degli ammortizzatori sociali. Una partita da svariate decine di miliardi che può essere giocata in tanti modi. E tra questi c’è anche quello di un ridimensionamento dei servizi sanitari per ottenere risorse fresche da mettere sul piatto dei nuovi impegni. A partire dai ticket ma non solo. Forse non sarà così, ma non ragionarci, prima che sia troppo tardi per porre opzioni alternative a un ridimensionamento tout court del Ssn, anche se sotto la bandiera del “nuovo welfare”, sarebbe un grave errore.
Cesare Fassari – 9 maggio 2013