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Pensione anticipata, tagli fino al 22%. Il vincolo dei 38 anni di contributi. Studio della Cisl: riforma che favorirà l’uscita degli uomini e dei dipendenti pubblici

CORSERA. Chi nel 2019 andrà in pensione anticipata con il meccanismo di «quota 100» percepirà un assegno decisamente più basso di quello che avrebbe preso aspettando di lasciare il lavoro secondo le regole attuali, anche se lo riscuoterà per più anni. La perdita sarà maggiore rispetto alla pensione di vecchiaia, quella che si otterrà l’anno prossimo con 67 anni d’età (e 20 di contributi), oscillando da un minimo di circa il 16% a un massimo del 22,3%. Ma l’assegno sarà più leggero anche rispetto al regime attuale di pensione anticipata (nel 2019, 43 anni e 3 mesi di contributi, indipendentemente dall’età; un anno in meno per le donne). In questo caso la perdita andrà dal 3 al 22,3%. E stiamo parlando di riduzioni d’importo sull’assegno netto, cioè tolte le tasse. Sul lordo infatti la perdita è anche maggiore. I calcoli, illustrati nella tabella, sono contenuti in uno studio del sindacato guidato da Annamaria Furlan, il «Barometro Cisl», e sono curati dall’esperto di previdenza Maurizio Benetti. Si riferiscono a una retribuzione netta di 1.650 euro, «ma anche con stipendi più bassi o più alti le variazioni percentuali non sono significative», dice Benetti.

Ovviamente, si spiega nel dossier, questi tagli sono inevitabili, perché frutto dei minori anni di contributi versati e del coefficiente di calcolo sul montante contributivo che è più basso quanto più si anticipa l’età di pensionamento (perché tiene appunto conto del fatto che la prestazione verrà erogata per più anni). Tuttavia, questi tagli, uniti al fatto che il governo sta pensando di vietare ai pensionati con «quota 100» il cumulo con altri redditi, potrebbe spingere molti lavoratori a non ritenere conveniente l’uscita anticipata, aiutando così il governo a stare nei limiti dello stanziamento per il 2019, che, come ha confermato ieri il sottosegretario al Lavoro, Claudio Durigon, scenderà rispetto ai 6,7 miliardi messi nella legge di Bilancio.

Ciò che lascia perplesso il sindacato non è tanto la riduzione della pensione, ma il fatto che «quota 100» sarà permessa a partire da un alto livello di contributi: 38 anni, ai quali si sommerà un’età minima di 62 anni. Ma anche salendo a 63-64-65 e 66 anni, il paletto dei 38 anni resterà fermo, articolando quota 100 in 101 (63+38), 102 (64+38) e così via. Si tratta, osserva Benetti, di «un canale di uscita riservato ai lavoratori “forti”», soprattutto uomini e dipendenti pubblici. Tanto più se si pensa a tutti coloro che potranno uscire avendo fra 38 e 42 anni di contributi, con 62 anni d’età.

I vantaggi di quota 100 «in termini di anticipo dell’uscita iniziano per chi è entrato al lavoro intorno ai venti anni»,chi lo ha fatto prima può infatti uscire con le norme più favorevoli riservate ai cosiddetti «precoci». «Il massimo vantaggio rispetto alla pensione anticipata (5 anni e 3 mesi) lo ha chi è entrato al lavoro a 23-24 anni». Dai 24-25 anni «il vantaggio va misurato rispetto alla pensione di vecchiaia dato che prima non si hanno i requisiti contributivi per la pensione anticipata. Il vantaggio è decrescente fino ad annullarsi per chi è entrato al lavoro a 28 anni. Questo ovviamente per carriere continue e senza considerare eventuali finestre di uscita che possono ridurre il vantaggio. Finestre che, sempre ieri, Durigon ha confermato.

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