Un taglio del 5% per ogni anno di anticipo calcolato sull’assegno lordo. Dovrebbe essere questa la penalizzazione per i lavoratori che sceglieranno liberamente di lasciare il lavoro prima di quanto previsto dalla legge Fornero. E che utilizzeranno l’Ape, il meccanismo da inserire nella prossima legge di Bilancio per consentire ai nati tra il 1951 e il 1953 di andare in pensione al massimo con tre anni di anticipo.
Il taglio sarà molto più basso per quella che i tecnici hanno scherzosamente ribattezzato «Ape social», e cioè la pensione anticipata per le categorie in difficoltà che il meccanismo intende tutelare, a partire dai disoccupati. Per loro la penalizzazione non dovrebbe mai superare il 3% l’anno, sempre considerando l’assegno lordo. E nella maggior parte dei casi sarà pari a zero o quasi. Perché? Nella versione social, l’Ape prevede che la misura del taglio dipenda dal reddito personale. Non ci dovrebbero essere penalizzazioni per chi prenderà un assegno fino a 1.500 euro lordi al mese. È la statistica a dirci che il grosso dell’operazione dovrebbe concentrarsi proprio qui, visto che oggi l’80% delle pensioni resta sotto questa soglia. Il taglio arriverebbe all’1% l’anno per chi prende 2 mila euro. E salirebbe al 3% per gli assegni da 3 mila euro al mese lordi. Restano da definire le categorie che potranno rientrare nell’Ape social. Oltre ai disoccupati, ci saranno disabili e inabili, cioè chi ha subito un incidente sul lavoro. E anche chi ha un familiare disabile a carico, fino al primo grado di parentela. Poi ci saranno le persone che svolgono attività «gravose», che in età avanzata possono diventare pericolose. Ci potrebbero essere gli operai dell’edilizia, gli infermieri, forse i macchinisti dei treni e gli autisti di bus e tram. Ma sulla lista definitiva l’accordo fra governo e sindacati non è stato ancora chiuso.
Con questi numeri è difficile che l’uscita anticipata su base volontaria venga scelta da un gran numero di persone: il taglio del 5% l’anno può trasformarsi in una riduzione complessiva del 15% sull’assegno. Con punte del 18% considerando gli importi netti, in realtà variabili a seconda dei casi per il meccanismo delle addizionali locali. Non poco. Ma il governo preferisce concentrare le risorse, sotto forma di sconti fiscali sulle rate per restituire il prestito nell’arco di 20 anni, proprio sull’Ape social: sulle categorie deboli e in particolare su quelle a basso reddito. Per loro la pensione anticipata a costo zero (o quasi) sarebbe vantaggiosa.
Lorenzo Salvia– Il Corriere della Sera – 9 settembre 2016