«Si annuncia una cosa sulle pensioni solo quando siamo sicuri di farla». Il presidente del Consiglio, Matteo Renzi, è uscito ieri allo scoperto sul tema incandescente della flessibilità in uscita dal lavoro. Il governo – ha precisato – non ha ancora deciso se e quando interverrà, ma in ogni caso dovrà essere una misura «a somma zero». Insomma – come anticipato ieri da Repubblica – è a questo punto molto probabile che il tema delle pensioni (per le difficoltà a reperire le coperture finanziarie) non entrerà a far parte della prossima legge di Stabilità da 25 miliardi, il cui nucleo centrale sarà rappresentato dai tagli fiscali, sulla casa e sulle imprese, che il premier ha, infatti, ampiamente anticipato e confermato ieri precisando che ai sindaci sarà dato «un assegno corrispondente al taglio dell’Imu e della Tasi». Approccio condiviso dal ministro dell’Economia, Pier Carlo Padoan.
E duramente contestato invece dal fronte sindacale che chiede il ripristino di condizioni eque per chi perde il lavoro in età matura. Anche nella versione più soft un intervento sulla flessibilità in uscita richiederebbe non meno di 4 miliardi di euro. Per le pensioni la «questione è complessa», come ha ammesso Renzi. L’uscita anticipata dal lavoro, per mitigare l’innalzamento repentino della riforma Fornero che, tra l’altro, ha provocato il fenomeno degli esodati, comporta comunque un esborso da parte dello Stato. Spese che nel tempo si possono compensare tagliando gli assegni, penalizzando così l’uscita anticipata. Ma se il taglio è troppo consistente nessuno è incentivato ad abbandonare prima il lavoro per rischiare di finire in una condizione di difficoltà economica. La scarsa adesione alla cosiddetta opzione donna che consentiva di andare in pensione prima dell’età di vecchiaia ma con l’assegno pensionistico ricalcolato integralmente con il metodo contributivo sta lì a dimostrarlo.
Il governo, dunque, non ha ancora fatto i conti e le relative simulazioni perché non ha deciso che tipo di intervento mettere in campo. Ha detto Renzi, ospite di Porta a Porta : «Dobbiamo trovare un meccanismo per cui chi vuole andare in pensione un po’ prima rinunciando a un po’ di soldi possa farlo, il problema è quanto prima e quanti soldi». Questo è il rebus. Il premier ha detto di «sperare» in una proposta nelle prossime settimane o mesi. Per la legge di Stabilità c’è tempo al massimo fino al 20 di ottobre. Più chiaro il vice ministro dell’Economia, Enrico Morando: «Nessuno aveva mai detto che ci sarebbe stato un intervento con la prossima legge di Stabilità. Si tratta di un problema che deve essere affrontato nei tempi giusti. Resta ferma l’esigenza di non determinare un ulteriore squilibrio a favore della spesa previdenziale rispetto ad altre necessità dello stato sociale». E in ogni caso – ha aggiunto Morando – se ci sono risorse in più vanno al «dramma delle famiglie in situazione di povertà assoluta a partire da quelle dove ci sono bimbi piccoli e anziani».
La strategia del governo ha provocato la reazione negativa dei sindacati, ma anche di una parte della sua maggioranza (la minoranza Pd e l’Ncd con Maurizio Sacconi) e della Lega che con il presidente della Lombardia, Roberto Maroni che ha twittato: Renzi abbandona gli esodati: vergogna».
Pensioni, solo mini-interventi. Settima «tranche» di esodati. Per le donne possibile lo sblocco dell’opzione contributiva fino a dicembre
Se l’ipotesi di includere in legge di Stabilità misure per una maggiore flessibilità dei pensionamenti perde sempre più quota, procede invece per la sua strada la messa a punto di due interventi ad hoc per lo sblocco dell’opzione contributiva per le donne che vogliono ritirarsi dal lavoro con 57 anni (58 se autonome) e 35 di versamenti con calcolo dell’assegno solo contributivo e per un settimo intervento di salvaguardia per i lavoratori esodati. Ieri su questi due fronti s’è svolta una riunione a livello tecnico tra esponenti dell’Economia, del Lavoro, della Ragioneria generale dello Stato e dell’Inps in vista della convocazione prevista per domani in commissione Lavoro della Camera.
Ad accendere la luce verde sull’estensione fino alla fine dell’anno della sperimentazione lanciata nel 2004 a favore delle lavoratrici che maturano il requisito sono stati i dati forniti dal ministero del Lavoro sulle risorse spese tra il 2008 e il 2013 per questo anticipo con penalizzazione (le donne che optano hanno una decurtazione dell’assegno tra il 25 e il 30%). I maggiori oneri determinati da questa misura viaggiavano attorno ai 320 milioni, con un avanzo di 1,3 miliardi rispetto alle risorse a suo tempo ipotizzate a copertura (1,68 miliardi). Poiché sulla spesa non effettuata non s’è determinato un accantonamento di risorse in un fondo ad hoc, serve ora una norma per stanziarne di nuove a copertura fino a chiusura dell’opzione per l’anno in corso.
La stessa necessità si determina per l’utilizzo di una parte delle risorse non spese nelle sei operazioni di salvaguardia in corso a favore di un nuova (settima) platea di circa 25-26mila lavoratori esodati. I risparmi delle prime sei salvaguardie dovrebbe aggirarsi attorno ai tre miliardi (sui 12 stanziati) e utilizzando queste risorse con un sistema di slittamento dei termini di riconoscimento della salvaguardia si potrebbe alzare la platea degli esodati tutelati da 170mila a circa 190mila senza maggiore spesa. Riguardo all’opzione donna, tra il 2009 e il 2013 sono state poco più di 16mila le lavoratrici che hanno utilizzato questa via di anticipo con penalizzazione della pensione, con una crescita negli ultimi anni dopo l’entrata in vigore della riforma Fornero, tanto che nel 2014 si sono aggiunte altre 12mila domande. Se una soluzione verrà raggiunta le commissioni lavoro di Camera e Senato potrebbero, proprio sull’opzione donna, approvare in sede legiferante (ovvero senza passare dall’Aula) la proposta di legge già messa a punto su un testo unificato.
Tornando al nodo flessibilità per tutti, invece, un eventuale intervento deve essere fatto «sostanzialmente a costo zero per il bilancio pubblico», ha detto ieri il presidente del Consiglio. E comunque «evitando uno spostamento di risorse aggiuntive verso la previdenza» ha aggiunto Enrico Morando, il viceministro dell’Economia impegnato in questi giorni al vaglio degli emendamenti al disegno di legge di assestamento del bilancio dello Stato e delle amministrazioni autonome per il 2015, atteso in Aula al Senato domani. Se si dovesse realizzare un intervento di anticipo in uscita, ha spiegato Morando, «bisogna farlo senza prendere quote di risorse significative dal bilancio per spostarle sulle pensioni. Se ci sono risorse – ha aggiunto – vanno impiegate per affrontare il dramma delle famiglie in situazione di povertà assoluta».
I tecnici dell’Economia e di palazzo Chigi non hanno ancora escluso del tutto misure sulle pensioni in Stabilità, anche perchè il pressing che arriva dalla maggioranza (Pd e centristi) è molto forte, come lo è quello sostenuto dall’intero fronte delle parti sociali. Il problema è sempre quello delle risorse: se nel medio-lungo periodo meccanismi di anticipo con penalizzazione si autofinanziano, nell’immediato serve una copertura di cassa certa. Da qui l’ipotesi, di una disciplina provvisoria da adottare magari con un provvedimento collegato alla manovra, un disegno di legge successivo da adottare nel corso del 2016, ipotesi pure in campo e rilanciata ieri anche da Maurizio Sacconi, presidente della Commissione Lavoro del Senato.
Repubblica e Il Sole 24 Ore – 8 settembre 2015