In un quindicennio, dal 2002, la spesa è più che raddoppiata in termini assoluti, mentre il numero delle prestazioni erogate è cresciuto del 73 per cento. Ma se negli anni scorsi il contenimento degli esborsi pubblici per pensioni e indennità dell’invalidità civile era un potenziale capitolo della spending review, in nome della lotta agli abusi, per il futuro anche prossimo la tendenza all’incremento delle uscite sembra ormai scarsamente contenibile in un Paese che invecchia sempre di più. Lo evidenzia la Ragioneria generale dello Stato nel suo studio sulle tendenze di medio-lungo periodo del sistema pensionistico e sanitario, che segnala come la voce di spesa sia destinata a crescere nei decenni a venire in parallelo all’aumento della popolazione anziana. Anche l’Inps nel suo rapporto annuale presentato lo scorso anno dedica un denso capitolo ai temi della disabilità e della non autosufficienza, sottolineando i limiti del modello italiano: la spesa complessiva non è lontana da quella media europea ma appare sbilanciata sui benefici monetari rispetto ad un’assistenza di tipo territoriale e domiciliare. E nel caso specifico dell’invalidità spicca l’anomalia di una distribuzione territoriale anomala che nemmeno i fattori demografici e socio-economici riescono a spiegare pienamente.
IL DIRITTO ALL’ACCOMPAGNO
Prima di guardare da vicino i numeri più aggiornati, è opportuno ricordare quali sono le prestazioni di cui si parla. L’invalidità civile riguarda i cittadini che non hanno una posizione contributiva tale da garantire loro, se invalidi, prestazioni erogate dalle gestioni previdenziali. Insomma si tratta di chi per vari motivi non lavora o ha lavorato troppo poco: le esigenze di queste persone vengono quindi prese in carico dalla fiscalità generale, ovvero dalle tasse pagate da tutti i contribuenti. Siamo nel campo della spesa assistenziale e non di quella pensionistica. Più nel dettaglio, gli interventi appartengono a due categorie: pensioni di inabilità o assegni mensili, riconosciuti rispettivamente in caso di invalidità totale o parziale, che spettano solo al di sotto di certe soglie di reddito (16.500 euro l’anno per la pensione e 4.800 per l’assegno); e indennità di accompagnamento che vanno a ciechi, sordomuti o invalidi del tutto non autosufficienti, che non prevedono limiti di reddito. Tra le due categorie c’è anche un’altra differenza: le prestazioni del primo tipo alla fine dell’età lavorativa (attualmente 65 anni e 7 mesi) vengono trasformate in assegni sociali, mentre le indennità di accompagnamento restano per tutta la vita.
Dunque all’inizio del 2002 le pensioni erano 672 mila a fronte di 1 milione e 94 mila indennità, per una spesa complessiva di 7,2 miliardi. Al primo gennaio di quest’anno si contavano invece oltre tre milioni di prestazioni, suddivise tra 964 mila pensioni (importo medio mensile 273 euro) e due milioni e 96 mila indennità (importo medio 493 euro): proprio il raddoppio di queste ultime ha spinto la spesa fino a 15,8 miliardi, con una crescita del 118 per cento rispetto a quindici anni fa.
L’INVECCHIAMENTO
È certamente vero, come evidenzia l’Inps nel suo rapporto annuale, che l’incremento si concentra nei primi anni del periodo, con una frenata significativa dal 2009 in poi: la stretta decisa quell’anno prevedeva infatti, tra l’altro, l’inserimento a pieno titolo dei medici dell’istituto nelle commissioni Asl che valutano le domande e la presentazione telematica della domanda stessa e dei certificati. Come conseguenza c’è stata una valutazione più attenta dei richiedenti la prestazione ed una minore percentuale di accoglimento. Ma i numeri hanno continuato comunque a crescere pur se più lentamente, con un solo anno (il 2012) di lieve riduzione sia dello stock di prestazioni sia della spesa. Negli ultimi due anni i tassi di aumento si sono assestati intorno al 3 per cento. Una traiettoria che molto difficilmente potrà essere invertita: la stessa proposta avanzata in passato di legare l’indennità di accompagnamento alla prova dei mezzi, ovvero al reddito ed eventualmente al patrimonio, richiederebbe l’imposizione di tetti molto bassi per ottenere effetti finanziari significativi.
Alla Calabria il record di indennizzi: 77 abitanti su 1.000 hanno un assegno
Se in tutta Italia l’incidenza delle prestazioni di invalidità civile fosse portata al livello della Regione in cui ce ne sono relativamente meno, ovvero l’Emilia-Romagna, la spesa complessiva si ridurrebbe di circa 3 miliardi e mezzo su quasi 16. Probabilmente nemmeno il più austero censore della spesa pubblica immaginerebbe di poter davvero realizzare un intervento del genere, ma la cifra dà l’idea di come la distribuzione territoriale di pensioni e indennità sia a dir poco diseguale. Sulla carta i criteri di riconoscimento sono gli stessi in tutta Italia, eppure basta dare un’occhiata alla graduatoria delle Regioni ordinate in base alla frequenza delle prestazioni per rendersi conto della differenza effettiva: se la media nazionale è intorno alle 50 ogni 1000 abitanti, le quasi 78 della Calabria la pongono ad un livello doppio rispetto alla stessa Emilia-Romagna, che si ferma a quota 34. Guardando alle singole Province, la disomogeneità è ancora maggiore: Oristano sfiora le 100 pensioni e indennità per mille abitanti, mentre Prato non supera le 32: il rapporto è di uno a tre. Il primo filo rosso da dipanare sarebbe quello della demografia: l’invalidità e soprattutto la non autosufficienza che dà diritto all’indennità di accompagnamento (a cui è riferita la gran parte della spesa totale) sono ragionevolmente più diffuse tra le fasce di età più anziane. Eppure, i conti non tornano del tutto: se l’invecchiamento della popolazione può contribuire a spiegare l’elevata frequenza di prestazioni in Sardegna o in Umbria, la primatista Calabria è invece una Regione più giovane dell’Emilia-Romagna.
Nel suo rapporto annuale 2016 l’Inps evidenzia con grande dovizia di dati altre possibili cause di questo andamento, sottolineando il ruolo del contesto socio-economico e della pressione epidemiologica (in particolare in riferimento alle dimissioni ospedaliere per tumori e malattie del sistema nervoso, che sono le principali patologie per le quali vengono riconosciute le indennità di accompagnamento).
I FATTORI
La povertà naturalmente conta e non solo in senso generico. Una parte dei benefici monetari che passano per l’invalidità civile verrebbe riconosciuta dalle gestioni previdenziali se gli interessati avessero una posizione contributiva adeguata: dove c’è poco lavoro però ci sono pure meno pensioni e dunque scatta quasi inevitabilmente l’assistenza. Alla fine di tutti questi fattori c’è però anche qualcos’altro, se lo stesso istituto di previdenza riconosce pudicamente che «in alcuni contesti territoriali i criteri di eleggibilità potrebbero essere applicati con minor rigore». Nelle aree in cui dal 2011 il processo di accertamento è stato totalmente affidato in convenzione all’Inps qualche miglioramento di efficienza, in realtà, c’è stato.
Il Messaggero – 4 settembre 2017