Alla vigilia del nuovo incontro tra il ministro del Lavoro, Giuliano Poletti, e i leader sindacali sulla previdenza (l’appuntamento è per domani alle 17), la Ragioneria generale dello Stato lancia l’allarme sull’aumento della spesa pensionistica. Che avrà un incidenza maggiore del previsto sul prodotto interno lordo, anche a causa della bassa crescita dello stesso. Nel 2040 la cosiddetta gobba della spesa previdenziale, toccherà il massimo, raggiungendo il 16,3% del Pil, 0,8 punti percentuali in più delle vecchie stime.
Un monito che suona come un freno alle tante ipotesi di correttivi alla riforma Fornero: dal blocco degli adeguamenti dell’età pensionistica alla speranza di vita, all’allargamento della platea dei beneficiari dell’Ape (anticipo pensionistico) social; dalla pensione contributiva di garanzia per i giovani, ai contributi figurativi per chi ha carriere discontinue.
Il governo prenderà le sue decisioni con la legge di Bilancio per il 2018, ma è sempre più chiaro che i margini di intervento si restringono.
Tra l’altro, il rapporto della Ragioneria sulle «tendenze di medio-lungo periodo della spesa previdenziale e sanitaria» stima, per in prossimi 20 anni, una riduzione del flusso netto degli immigrati rispetto alle precedenti previsioni, con effetti negativi sulla crescita del Pil (Prodotto interno lordo), dando così indirettamente ragione al presidente dell’Inps, Tito Boeri, che insiste sul contributo netto degli immigrati sui conti previdenziali.
Dalle pensioni al fisco. Il viceministro dell’Economia, Luigi Casero, in un’audizione parlamentare, ieri ha affermato: «Il nostro è un Paese ancora a elevatissima evasione, tra le più elevate tra i Pesi europei concorrenti, e con un sistema fiscale farraginoso e complesso» mentre «in un sistema ideale dovrebbero esserci non 150 tasse, ma 2-3 grandi tasse: sui redditi, sui consumi e, se il Parlamento lo decide, una patrimoniale». Parole che sembrano quelle di un esponente dell’opposizione o dei sindacati. In realtà ieri è stato il Fondo monetario internazionale a suggerire che l’Italia potrebbe «ampliare la base imponibile e attuare una tassa moderna sulle proprietà immobiliari per ridurre il cuneo fiscale».
Più in generale, il Fmi ritiene che il nostro Paese dovrebbe approfittare dell’attuale ripresa per ridurre il debito e continuare sulla strada delle riforme, dalla concorrenza alla pubblica amministrazione. La ripresa si rafforza, secondo gli economisti di Washington, ma il Pil italiano tornerà ai livelli pre-crisi solo a metà del prossimo decennio. Ieri, intanto, l’Istat ha certificato il boom del fatturato dell’industria, cresciuto del 7,6% in un anno, e degli ordinativi che sono saliti del 13,7%.
Enrico Marro – Corriere della Sera – 26 luglio 2017