di Alberto Brambilla. Ci risiamo con il contributo di solidarietà sulle pensioni, solo che essendo in tempo di crisi siamo passati da quelle «d’oro» (sulle quali è in corso un prelievo, come spiega il grafico) a non meglio identificate «pensioni alte»; essendo poi in clima di giochi europei si è evocata «l’asticella». E così, nonostante tale contributo sia stato dichiarato anti- costituzionale, per la terza volta ci si ritenta; nel contempo la povera Inps ha prima mandato qualche centinaio di migliaia di lettere in cui comunicava ai pensionati (allora d’oro) che avrebbe applicato un prelievo di solidarietà (in pratica una tassa non prevista dagli schemi pensionistici vigenti) per ramazzare qualche euro, poi altrettante lettere per dire che avrebbe restituito il maltolto; subito dopo altrettante lettere per dire che ne avrebbe applicato uno nuovo.
Per il momento a guadagnare sono state solo le Poste. Su questo tema occorre buon senso e conoscenza della materia che la gran parte di coloro che oggi avanzano proposte, non sembra padroneggiare a pieno. Demagogia perché affrontare lo spinoso tema di chi non versa contributi e delle troppe pensioni a carico dello Stato è impopolare mentre prelevare a chi ha crea molti consensi.
Prestazioni e categorie
Andiamo con ordine rispetto alle dichiarazioni fatte da esponenti di governo o vicini ad esso: a) si è detto che tale contributo graverà solo sulle pensioni «retributive»; forse non si sa che oggi oltre il 98% delle pensioni sono retributive e quindi il balzello graverà su quasi tutte. b) il contributo di solidarietà verrebbe applicato sulla differenza tra una pensione calcolata con il metodo contributivo e quella in pagamento che utilizza il più generoso metodo retributivo; purtroppo tale calcolo è a volte impossibile (soprattutto per le contribuzioni ante 1980 e per le categorie agricole e autonomi) e di difficile realizzazione per il semplice fatto che per molte categorie mancano estratti conti contributivi corretti come per i dipendenti pubblici, che peraltro hanno le prestazioni di gran lunga più generose. c) E anche qualora si incaricasse l’Inps di fare questi calcoli su 23.431.000 prestazioni in pagamento riferite ai 16.561.600 pensionati (ogni pensionato in media prende 1,39 pensioni) si scoprirebbe che non solo il metodo retributivo ma l’intero sistema pensionistico è per gran parte assistenziale.
Metodo e promesse
Tutte le pensioni, chi più chi meno hanno importi superiori a quelli che deriverebbero dal calcolo dei contributi effettivamente versati a causa del metodo di calcolo retributivo (di Brodoliniana memoria) che incentivava a evadere i contributi tanto contavano solo gli ultimi 1 (per i pubblici) 5 o 10 anni; per tutte queste pensioni al di sotto di un importo variabile a secondo della categoria, c’è un contributo della Gias (Gestione interventi assistenziali a carico della fiscalità generale)- Ben 4.733.031 prestazioni sono di natura assistenziale di cui 3.726.783 integrate al minimo e le altre con maggiorazioni sociali; a queste vanno aggiunte oltre un milione di pensioni e assegni sociali e pensioni di guerra. Trascurando i quasi 2 milioni di assegni di accompagnamento (che sarebbe utile verificare) su 16,561 milioni di pensionati quasi 6 milioni (il 36%) hanno pensioni integrate o con maggiorazioni sociali il che significa che in 65 anni di vita non sono riusciti a versare almeno 15 annualità complete di contributi (e quindi non hanno pagato neppure le tasse) e ciò in virtù del metodo retributivo e delle promesse dei vari governi.
Modello assistenziale e Irpef
La riprova la ritroviamo nei bilanci previdenziali: su 274 miliardi di spesa pensionistica per il 2012, la quota a carico dello Stato e quindi di tutti noi è pari a 83,6 miliardi (oltre il 30%); vale poi la pena di osservare che 8.602.164 prestazioni pensionistiche di natura assistenziale (integrazioni al minimo, maggiorazioni sociali, assegni e pensioni sociali, pensioni di invalidità e di guerra, (in totale il 52% dei pensionati) sono esentati dal pagamento dell’Irpef mentre è plausibile stimare che circa il 50% dell’Irpef totale sulle pensioni (46 miliardi) pesi su meno di 2 milioni di pensionati con importi medi superiori a 30.000 euro lordi l’anno, proprio quelli sopra «l’asticella» che così verrebbero penalizzati due volte. Fare riferimento all’articolo 38 della Costituzione è fuorviante in un Paese dove tra pensioni assistenziali e maggiorazioni sociali e invalidità civili la metà dei pensionati è assistita dallo Stato come se il nostro Paese fosse uscito da una guerra o da una catastrofe; la regola del 2% per ogni anno lavorato vale per redditi o stipendi entro i 45.000 euro lordi; sopra questi importi i coefficienti di calcolo utilizzati per determinare la pensione scendono a 1,5 – fino a 0,9; per una retribuzione di 100.000 euro lordi ( 51.000 euro netti) su un periodo di 40 anni il famoso 80% si riduce a poco più del 53% e questo, soprattutto per le alte professionalità. Chi insiste sui cosiddetti pensionati d’oro conosce questa regola?
La Cassazione e l’indicizzazione
Eventuali proposte tendenti a bloccare l’indicizzazione delle pensioni oltre un certo importo sono già state definite illegittime dalla Cassazione poiché, come dovrebbero sapere i proponenti, producono effetti per l’intero periodo di fruizione della pensione (se oggi deindicizzo una pensione da 90.000 euro lordi con inflazione al 2% provoco una riduzione nell’anno di 1.800 euro; se il pensionato percepirà la pensione per 15 anni il danno complessivo sarà di 1.800 x 15 anni cioè 27.000 euro più indicizzazione).
Giovani e debito
La soluzione più equa sarebbe l’applicazione di un contributo di solidarietà su tutte le pensioni retributive che cresce in modo proporzionale all’entità’ della prestazione; esempio fino a 700 euro al mese lordi 0,5% cioè 3,5 euro al mese ( tre caffè ) e poi in progressione fino a un 8%; per poi accelerare sulle pensioni tipo Banca d’Italia, fondi speciali e vitalizi di consiglieri regionali e parlamentari ancor più generosi del metodo retributivo. Così facendo non si violano i principi di equità impositiva rendendo costituzionale la norma e si risarcisce la generazione giovane sottoposta al contributivo puro per colpa di sindacati e politici che fecero salvi tutti quelli che nel 1995 avevano più di 18 anni di contributi. Considerando i 228 miliardi netti di prestazioni in pagamento si può pensare di reperire oltre 6 miliardi che però se vogliamo bene ai giovani, devono andare a riduzione del debito pubblico. Se la misura fosse prevista per 5 anni e finalizzata alla riduzione del debito pubblico, tutti noi saremmo ben lieti di partecipare al risanamento del Paese e a favore delle giovani generazioni a cui, per inciso, lo Stato ha già previsto l’eliminazione di qualsiasi integrazione al minimo o maggiorazione sociale e per giunta non l’ha comunicato ai diretti interessati.
Alberto Brambilla – Docente Università Cattolica Milano – Coordinatore Cts itinerari previdenziali
Assegni falcidiati Con un ticket al 10% si rischia di perdere fino a due mensilità
Non si chiamano più «pensioni d’oro» e si preferisce parlare di «pensioni alte», almeno da quando il ministro Giuliano Poletti annunciando un ennesimo prelievo sugli assegni Inps ha riconosciuto che per incassare una cifra adeguata occorre abbassare la cosiddetta asticella. Basterebbe, per esempio, fissarla a 1500 euro lordi e la platea si allargherebbe al punto da risolvere il problema, o quasi. Ovviamente non sarà quella la soglia. Ma si presume sia quella contenuta nel rapporto sulla «spending review» di Carlo Cottarelli che prevede un giro di vite temporaneo, in linea con quelli indicati a suo tempo dal sottosegretario all’Economia Pier Paolo Baretta, ossia intorno ai 2.500-3 mila euro. Sui calcoli di governo grava però un equivoco. Il piano di Cottarelli si riferisce agli assegni sopra i 2.500 euro lordi, che non possono essere considerati d’oro. Corrispondono a prestazioni mensili poco sotto i 1.700 euro. Classe media da spremere se si vuole fare un po’ di cassa, ma certamente non un’operazione di giustizia sociale. Il loro numero è pari a 956.215 (dati Inps del 2012), il 5,7% del totale. Comunque persone e famiglie con un reddito da classe media.
Se il riferimento è invece ai pensionati che percepiscono pensioni nette tra 2.500 e 3.000, il rischio è una misura non efficace. I pensionati con un reddito lordo sopra i 4.800 euro al mese sono meno di 50 mila. Cifre ancora più ridotte per le classi di pensionati che incassano assegni più ricchi, basti ricordare che il contributo di solidarietà richiesto dal governo di Mario Monti, che colpiva i pensionati con redditi sopra i 150 mila euro lordi all’anno, ha portato allo Stato appena 81 milioni di euro, soldi che poi sono stati restituiti in quanto, com’è noto, la Corte Costituzionale ha bocciato clamorosamente il prelievo. Il piano di Cottarelli chiede un contributo di solidarietà del 10-15% e un blocco della indicizzazione biennale. Le voci più insistenti parlano però di un 10% per la durata di un biennio.
Ebbene, facciamo un po’ di conti. Dato che non conosciamo dove verrà posizionata la famosa «asticella», abbiamo ipotizzato diverse situazioni, con pensioni di importo mensile da 2 mila a 7 mila euro. Le rendite con un importo mensile sopra i 7 mila euro, grazie alla Legge di Stabilità del 2014, stanno già scontando (e lo faranno sino a tutto il 2016) un prelievo che va dal 12 al 18%.
Tornando ai nostri conteggi possiamo notare che un pensionato che abita a Milano o Roma, con un assegno lordo di 3 mila euro, in realtà, tolte le tasse (Irpef più le addizionali, comunale e regionale), ogni mese mette in tasca 2.113 euro. Ma non solo. Se il ticket sarà veramente pari al 10% dell’importo lordo, alla fine dell’anno subirà un prelievo di ben 3.900 euro, pari a circa due mensilità di pensione netta. Altro che pensione d’oro!
Domenico Comegna – Il Corriere della Sera – 20 agosto 2014