Nel ricalcolo peserà l’aumento previsto per l’anzianità contributiva. In attesa della circolare Inps possibile computare il periodo residuo al 2% oppure determinarlo con il sistema pro quota. Per effetto della legge di stabilità 2015 i pensionati che avevano già 40 anni di contributi nel 2011 ma hanno continuato a lavorare subiranno un taglio consistente dell’assegno già in pagamento.
La riforma Monti-Fornero ha introdotto, tra le altre cose, il sistema contributivo pro rata per le anzianità contributive maturate dal 1° gennaio 2012 da chi, fino a quel momento, era soggetto al sistema retributivo puro perché poteva vantare 18 anni di contributi alla fine 1995. Nel retributivo il coefficiente di rendimento si bloccava in corrispondenza del quarantesimo anno assicurativo e quindi tutto ciò che andava oltre, tranne l’eventuale beneficio di incrementare la pensione per effetto dell’aumento delle retribuzioni medie pensionabili, era ininfluente. Per effetto della riforma MontiFornero, invece, a fini dell’importo della pensione sono stati valorizzati anche i contributi versati dal 2012 in poi e tale quota incrementa quella già generosa calcolata con le vecchie regole.
I maggiori beneficiari del contributivo post 2011 sono quelle categorie di lavoratori che per effetto di limiti ordinamentali elevati (come magistrati, professori universitari) riescono (o meglio sono riusciti) a valorizzare le anzianità eccedenti i 40 anni. Come riportato negli esempi, un docente universitario può passare da un assegno da 88.688 euro all’anno a uno da 82.209 euro. Meno evidenti, invece gli effetti su chi ha anzianità e assegni minori. In alcuni casi, addirittura, le nuove regole sono addirittura più vantaggiose.
Già in passato e in diverse occasioni si era messo in risalto tale anomalia (si veda il Sole 24 Ore del 27 agosto 2014), ma la questione era rimasta inascoltata fino all’ultima legge di stabilità. Ora il comma 707 della legge 190/2014 prevede che l’importo del trattamento pensionistico non può eccedere quello che sarebbe stato liquidato con l’applicazione delle regole vigenti prima del Dl 201/2011. Poiché, però, oggi non sono più sufficienti 40 anni di contributi, essendone richiesti 41 anni 6 mesi per le lavoratrici e 42 anni 6 mesi per i lavoratori, dovrà essere computata anche l’anzianità contributiva necessaria per il conseguimento del diritto alla prestazione (e quindi 1 o 2 anni e 6 mesi). Quindi in ogni caso verranno valorizzati 41,5 o 42,5 anni, invece di 40 come in passato.
In attesa che l’Inps emani la circolare esplicativa, due sono le ipotesi prospettabili. La prima è che il periodo necessario alla riscossione della pensione tra il quarantesimo anno e la decorrenza venga computato al 2% annuo (1,80% per gli iscritti alla Cassa Stato). La seconda può essere quella di valorizzare il periodo successivo ai 40 anni con il sistema contributivo pro quota. La novità dovrebbe operare anche sui trattamenti pensionistici già erogati.
In ogni caso far “rivivere” il limite dei 40 anni di contributi non potrà incidere sui termini di pagamento dei trattamenti fine servizio/rapporto che rimarranno ancorati a 24 mesi rispetto alla data di risoluzione del rapporto di lavoro nell’ipotesi di dimissioni volontarie. 7 Si intende con questa espressione l’applicazione del sistema di calcolo contributivo applicato a una parte del montante complessivo (intendendo l’altra parte calcolata con il sistema retributivo).
Il Sole 24 Ore – 4 marzo 2015