La separazione contabile tra spese di «previdenza» e di «assistenza», proposta dal “contratto” Lega-M5S, non toglierebbe l’Italia dal secondo posto nella classifica Ocse stilata in base all’incidenza delle pensioni sul Pil. E non cambierebbe di una virgola il problema dei conti, che nasce dalle prospettive di aumento del peso complessivo degli assegni per l’invecchiamento della popolazione; peso che invece crescerebbe rapidamente (11 miliardi lordi all’anno) accogliendo le altre proposte del patto a due, che puntano a permettere l’uscita dal lavoro con «quota 100» (somma di età e anzianità) o dopo 41 anni di lavoro.
Soluzioni contabili
L’Osservatorio conti pubblici della Cattolica diretto dall’ex commissario alla spending review Carlo Cottarelli traduce in cifre, in un report che sarà pubblicato questa mattina, uno degli argomenti chiave che prima di finire nel contratto di governo è stato lanciato da sindacati e centri studi alla ricerca di una “soluzione facile” al problema previdenziale.
E arriva alla conclusione che la soluzione facile non è possibile. «Separare i conti di previdenza e assistenza – sostiene Cottarelli – non coglie l’origine del problema: l’invecchiamento della popolazione alimenta proprio la spesa previdenziale, e quindi la questione non dipende da nessuna tendenza relativa a spese di natura genericamente assistenziale». Per ora, aggiunge, le proiezioni indicano una dinamica sostenibile se nel lungo periodo la crescita resta solida e l’invecchiamento degli italiani continua a essere compensato dall’arrivo di giovani immigrati. Ma le due variabili sono incerte.
Il nodo retributivo
«Per ora è prematuro parlare di nuove riforme – aggiunge Cottarelli –, ma lo stesso Fmi ha sottolineato rischi. Per ragioni di equità bisognerebbe intervenire sulle pensioni calcolate con il retributivo: io avevo ipotizzato una revisione per gli assegni superiori ai 50mila euro lordi all’anno, con un taglio del 50% dell’eccedenza rispetto al calcolo contributivo e una clausola di salvaguardia per impedire riduzioni superiori al 10% del trattamento complessivo».
Una misura del genere, secondo i calcoli, rimetterebbe in gioco 2-3 miliardi di euro all’anno. Ma è politicamente complicata, e infatti nel «contratto» legastellato ce n’è solo una sua pallida copia: si ipotizza un intervento sopra i 60mila euro netti all’anno, che riguarderebbe quindi una platea drasticamente più limitata.
I numeri
Per sostenere queste tesi, l’Osservatorio della Cattolica parte dai numeri, messi in fila nello studio curato da Silvia Gatteschi, che smontano tre ipotesi di maquillage contabile: la separazione previdenza-assistenza, appunto, e l’esclusione dal calcolo delle tasse e del Tfr.
Secondo i sindacati, che da tempo hanno fatto di queste revisioni uno dei cavalli di battaglia per combattere le strette previdenziali degli ultimi vent’anni, il ricalcolo cambierebbe drasticamente la posizione dell’Italia nelle classifiche internazionali, dove oggi occupa il secondo posto preceduta dalla sola Grecia (spesa al 16,3% del Pil, il doppio della media Ocse; 16,8% secondo i calcoli dell’Istat relativi al 2016). I calcoli della Cattolica dipingono però un quadro diverso: secondi siamo, e secondi rimarremmo. Vediamo perché.
Tfr e tasse
La “pulizia” delle spese assistenziali, spiega prima di tutto il report, non potrebbe essere limitata all’Italia, ma andrebbe realizzata anche per gli altri Paesi, perché praticamente ovunque gli aggregati considerati sia dall’Ocse sia dall’Eurostat considerano una quota di assistenza. Nemmeno un secondo colpo di forbice, puntato sull’esclusione del Tfr dei dipendenti pubblici, cambierebbe la situazione, per due ragioni: la cifra, 6,8 miliardi all’anno, è troppo modesta per incidere davvero sul monte delle uscite pensionistiche, e non è vero che il trattamento di fine rapporto sia un unicum italiano (in Spagna c’è il Finiquito, in Germania l’Abfindung e così via). E, chiosa il rapporto, «non è per nulla scontato che il Tfr sia da considerare spesa non pensionistica», perché è un versamento a carico dello Stato che va a integrare il reddito di chi esce dal lavoro.
Chiude la rassegna il capitolo tasse. Anche sui pensionati l’Irpef primeggia nel mondo, ma in ogni caso con il calcolo al netto generalizzato per tutti i Paesi l’Italia rimarrebbe inchiodata alla seconda posizione.
Le tasse, poi, servono a pagare servizi pubblici spesso rivolti agli stessi pensionati (per esempio la sanità), che in altri Paesi come Usa e Giappone sono inferiori proprio perché la tassazione è più bassa.
Il Sole 24 Ore – 23 maggio 2018