Una previdenza privata centralizzata, un’unica Cassa delle professioni. La proposta arriva dal decimo convegno nazionale Pacchetto Professioni organizzato dall’Associazione nazionale commercialisti, svoltosi ieri a Pisa con 950 professionisti di tutta Italia.
«Abbiamo proposto un unico ente di previdenza dei professionisti con gestioni separate – dice Marco Cuchel, presidente dell’Anc – perché è l’unico modo per mitigare le curve demografiche che ciclicamente vivono le professioni». Inoltre così si vuol migliorare l’efficienza e aumentare il potere contrattuale.
I critici della proposta evidenziano il rischio di essere assorbiti dal pubblico, di diventare cioè troppo appetibili: le Casse hanno un patrimonio di oltre 50 miliardi. «Se esiste la volontà di assorbire la previdenza privata in quella pubblica – sostiene Cuchel – non credo che farà gran differenza l’essere uniti o separati. Di contro, unirsi può rendere il sistema più efficiente e potremmo far nascere un welfare integrato. Inoltre l’equilibrio, come sostengono diversi esperti, si trova nei grandi numeri». La proposta Anc è nata come risposta ai giovani professionisti, che, col passaggio al sistema contributivo resosi necessario per molti enti per garantire la stabilità a 50 anni richiesta dalla legge Fornero, hanno visto la pensione futura contrarsi molto.
A Pisa si è anche parlato di riforma delle professioni. Per Cuchel sono poche le novità per i commercialisti: la normativa sulle Stp (società tra professionisti), che però stentano a decollare perché mancano ancora una serie di chiarimenti sul fronte fiscale e previdenziale, e gli organi disciplinari esterni.
Per l’Anc è stata «devastante» la legge 4/2013, che ha dato un “riconoscimento” alle professioni non regolamentate: «Occorre definire linee di demarcazione sulle competenze – dice Cuchel – per delineare con chiarezza le attività proprie delle professioni: i percorsi professionali sono diversi».
L’associazione, con gli altri sindacati che hanno creato nove mesi fa il «Tavolo di coordinamento delle associazioni sindacali accreditate dal Consiglio nazionale», potrebbe proclamare uno sciopero di categoria contro i tempi sempre più stretti per svolgere l’attività professionale: cinque giorni per l’Imu, otto giorni per lo spesometro. «Abbiamo verificato che è possibile – dice Cuchel –, stiamo valutando le modalità, ma potrebbe avvenire in tempi stretti».
Il Sole 24 Ore – 9 novembre 2013