Investimenti già definiti per circa 7 milioni di euro. Ma il conto potrebbe lievitare di molto e andare a ricadere sulle bollette dei cittadini. È quanto emerso, l’altro giorno, nella Commissione parlamentare ecomafie, dalle audizioni dei rappresentanti delle società di gestione idrica operanti nei comuni contaminati dai Pfas. I direttori delle aziende hanno presentato gli interventi eseguiti e gli investimenti che serviranno per superare l’emergenza.
«Finora abbiamo speso 900 mila euro per l’installazione dei filtri a carboni attivi e per l’estensione delle reti acquedottistiche a Brendola e Lonigo – ha spiegato il direttore tecnico di Acque del Chiampo Alberto Piccoli -. Negli stessi paesi servirà un altro milione 400 mila euro per collegare all’acquedotto le utenze che pescano da pozzi inquinati. In più, stimiamo servano 100 mila euro l’anno per la manutenzione dei filtri». La società spiega come i costi non andranno ad aumentare le bollette, però si ripercuoteranno sugli investimenti. Sempre che non arrivino i fondi del ministero dell’Ambiente. È l’auspicio anche di Fabio Trolese, direttore di Acque Vicentine. «E in corso un progetto da 2 milioni 300 mila euro per compensare la perdita derivante dalla chiusura del pozzo Scaligeri, in zona industriale ovest a Vicenza – spiega Trolese -. Stiamo poi estendendo le reti in zona Lobia, per 300 mila euro. Serviranno però decine di milioni per sostituire il campo pozzi di Almisano di Lonigo, dal quale prendiamo l’acqua per Noventa e Sossano». I costi rischiano di avere un impatto reale in bolletta.
«Abbiamo già speso 2 milioni di euro per lavori quali l’estensione delle reti nelle zone di Grancona, Sarego, Pojana – ha riferito il direttore generale di Centro Veneto servizi Monica Manto -, in modo che i cittadini abbandonino i pozzi privati. Serviranno poi almeno 100 mila euro l’anno per la rigenerazione dei filtri, mentre altri 21 milioni potrebbero essere impiegati per prolungare la condotta che arriva fino a Ponsò e portare acqua pulita da Camazzole al Basso Vicentino. Con altri 9 milioni, infine, potremmo portare acqua dall’Adige sempre nella parte meridionale della provincia di Vicenza».
«Serve un riferimento normativo sui limiti – ha sostenuto il presidente del consorzio Arica Antonio Mondardo -. Bisogna poi intercettare le acque prelevate da alcune aziende che pescano dai pozzi contaminati per poi rilasciare l’acqua in superficie». «La situazione è bruttissima – dice la senatrice Laura Puppato, capogruppo Pd in commissione -. Proseguiremo con rinchiesta».
Il Giornale di Vicenza – 18 maggio 2016
Pfas, i sindaci vicentini chiedono acqua al Leb in audizione nella Commissione «ecomafie». Premono per il collegamento con il canale che da Belfiore porta al Padovano
L’emergenza Pfas rischia di diventare la fonte di un nuovo braccio di ferro. Se già non bastava la diatriba fra ministero all’Ambiente, rappresentato dal sottosegretario Barbara Degani e dal direttore generale Gaia Checcucci, e la Regione, a cui da voce l’assessore ai temi ambientali Gianpaolo Bottacin, in merito al chi tocca stabilire i limiti delle sostanze perfluoro-alchiliche negli scarichi, ora sembra profilarsi una nuova vertenza. Una querelle che potrebbe vedere su lati opposti amministratori e agricoltori del Vicentino e del Basso Veneto. Ovvero, del Veronese come delle province di Padova e Venezia. Tutto ha preso avvio dallo svolgimento dell’audizione nella Commissione parlamentare d’inchiesta sulle attività illecite connesse al ciclo dei rifiuti, più comunemente nota come «commissione ecomafie», di alcuni sindaci del Vicentino. L’altro ieri i primi cittadini dell’area che va dall’Ovest al Sud del Vicentino hanno posto l’accento sulla necessità di irrigare con acqua pulita i loro campi. Una richiesta in merito alla quale hanno parlato della presenza di studi preliminari che prevederebbero investimenti per alcune decine di milioni di euro, in totale una novantina, che potrebbero consentire la realizzazione di tubi che permetterebbero di garantire adeguati approvvigionamenti al loro territorio. Tubi da collegare al Leb – il canale artificiale che porta da Belfiore sino al Padovano l’acqua necessaria per garantire l’irrigazione m buona parte del Veneto meridionale, servendo un territorio in cui ci sono circa 350mila ettari di terreni a destinazione agricola – e al controtubo che è stato realizzato per rivitalizzare il fiume Fratta-Gorzone, che è da decenni assoggettato agli effetti degli scarichi del polo conciario vicentino della valle del Chiampo.
Nei loro interventi in commissione d’inchiesta, gli amministratori berici hanno anche descritto nei particolari il tipo di infrastrutture che sarebbero necessarie per rendere sicure le produzioni vicentine. Di tutto questo, però, il presidente del consorzio di secondo livello che gestisce il canale Lessineo-Euganeo-Berico Luciano Zampicinini afferma di non sapere assolutamente nulla. «Da tempo», afferma, «noi abbiamo espresso la nostra disponibilità a collaborare affinchè vengano messe in atto misure volte a risolvere il problema dei Pfas nelle acque destinate all’irrigazione, senza che nessuno ci abbia mai contattato». «Adesso», prosegue Zampicinini, «abbiamo letto che c’è un progetto che prevede che una parte delle acque che vengono trasportate dal nostro canale venga derivata nel Vicentino. La cosa potrebbe non avere conseguenze per quanto riguarda l’area del Veneto meridionale, solo a patto che venga aumentata la portata del canale, prevedendo una maggiore derivazione di acque dell’Adige».
Per quanto si dichiari non informato, quindi, Zampicinini pare mettere dei paletti ben precisi, che sono legati alla possibilità di far correre nel Leb maggiori quantità rispetto alle attuali di acqua derivata dal secondo fiume più lungo d’Italia. Cosa non semplice da attuare, visto che su questo ci sono da tempo delle resistenze. D’altro canto, gli stessi sindaci vicentini avevano spiegato a Roma che l’attingimento dell’acqua dall’Adige da parte del Leb non dovrebbe fare i conti con le derivazioni legate alle centrali idroelettriche presenti nelle vicinanze dell’opera di presa. Sul rapporto fra canale Leb e Pfas resta, però, un’altra questione da chiarire. Quella legata alla presenza delle sostanze perfluoro-alchiliche nelle acque che vengono distribuite dal canale nel Basso veronese, oltre che nel Padovano e nel Veneziano. Il Leb, pur prelevando acqua pulita dall’Adige, per un breve tratto, nei pressi di Cologna, scorre infatti all’interno del fiume Guà. Fiume che corre in un bacino che dalle sostanze perfluoro-alchiliche è contaminato. «Dalle nostre analisi», conclude Zampicinini, «risulta che nelle acque che vengono distribuite dal Leb dopo Cologna, e quindi dopo il passaggio nel fiume Guà, la presenza dei Pfas non è significativa. Comunque ora abbiamo deciso di effettuare, a nostre spese, analisi a cadenza mensile, in modo da poter avere un’idea complessiva del fenomeno e di poterne dare informazione anche ai sindaci che ce lo chiedono».
L’Arena – 18 maggio 2016