E’ la prima conferma ai timori della gente ma è anche la «prova scientifica» appena consegnata alle Procure di Vicenza e Verona (e nei prossimi giorni di Padova) che danno alla salute c’è stato. Sotto i riflettori lo studio condotto dall’Isde (l’Associazione medici per l’ambiente) con l’Enea (l’Agenzia nazionale per le nuove tecnologie e l’energia) sulla correlazione tra le cause dei decessi rilevati dall’Istat nei 30 anni precedenti al 2011 e il livello di inquinamento dell’acqua potabile nei 24 Comuni vicentini, veronesi e padovani contaminati da Pfas (composti chimici) in una concentrazione superiore al livello di guardia di 500 nanogrammi per litro (che scende a 30 per il Pfos, il più pericoloso acido perfluoro ottano sulfonico).
Il risultato choc è che nel trentennio esaminato si riscontrano 1300 morti in più rispetto a quelle avvenute nelle vicine aree non contaminate. Sono 43 in più all’anno.
«Abbiamo indagato le 16 patologie che la letteratura scientifica accosta all’inquinamento da Pfas — spiega il dottor Edoardo Bai di Isde, che ha lavorato all’indagine con i colleghi Vincenzo Cordiano e Paolo Crosignani e Marina Mastrantonio, Raffaella Uccelli e Augusto Screpanti, ricercatori dell’Enea —. Cioè infarto del miocardio, malattie cerebrovascolari, Alzheimer, Parkinson, diabete, tumore al fegato, del rene, della vescica, del pancreas, della mammella, dell’ovaio, del testicolo, della prostata, leucemie, linfoma non Hodgkin e mieloma multiplo. Le risposte più rilevanti sono arrivate dalle malattie cerebrovascolari e cardiovascolari, dal diabete e dal tumore del rene, aumentati in una percentuale compresa tra il 15% e il 32%». Altre malattie hanno avuto riscontri non significativi, come i problemi al fegato, il tumore al testicolo (8 casi contro i 3 delle aree senza Pfas, ma nonostante il +82% restano numeri piccoli), il tumore alla vescica, alla mammella e all’ovaio, che non hanno dato esito. E’ infine emerso un lievissimo aumento dei linfomi. «Questi risultati, ottenuti vagliando i dati sui 144mila residenti nei 24 Comuni inquinati e confrontandoli con gli indicatori relativi ai 645mila abitanti delle zone confinanti e sane, hanno una percentuale di errore inferiore al 5% — aggiunge il dottor Bai —. E attestano che un grave danno alla salute pubblica le Pfas l’hanno causato. Abbiamo lavorato gratis, solo sul data base della mortalità, che però non dà tutte le risposte. Per esempio non abbiamo esaminato le alterazioni alla tiroide. Sappiamo che questi composti chimici sono interferenti endocrini, cioè incidono sugli ormoni, alterano il metabolismo e aumentano il colesterolo, provocando problemi cardiovascolari. E’ auspicabile che le aree geografiche descritte vengano sottoposte a indagini epidemiologiche».
Il team di ricercatori vorrebbe proseguire gli studi in collaborazione con la Regione. «Lo dico dal 2014 — conferma Bai — se il Registro Tumori ci fornisse i propri dati, potremmo fare un’analisi più completa. Io la richiesta scritta l’ho mandata, anche a Regione, Comuni, Usl, ma nessuno ha risposto. Ed è un danno per tutti, perchè un’analisi del genere si fa con 4-5 mila euro di spesa e in 15 giorni è finita. Non dico che sia l’unica ricerca affidabile, ma almeno è un campanello d’allarme dal quale partire per iniziare a fare qualcosa. Finora è stata effettuato solo lo studio di esposizione ma non di malattia — chiude il medico — non è mai stata eseguita una retrospettiva. La Regione metterà sotto controllo 250 mila veneti, con un costo di 1,5 miliardi in dieci anni, ma non inciderà sul quadro generale». «Non mi permetto di giudicare la ricerca in questione, né ho dubbi sulla professionalità di chi l’ha condotta — replica l’assessore alla Sanità, Luca Coletto —. La Regione però agisce per atti istituzionali e da tempo ha un accordo formale con l’Istituto Superiore di Sanità e collabora con l’Oms. Nessun apporto è da scartare ai priori, ma va valutato sul piano rigorosamente scientifico e i nostri interlocutori scientifici sono l’Iss e l’Oms». Quanto al Registro Tumori, sta raccogliendo tutti i casi di cancro registrati fino al 2013 nelle Usl 5 Alto Vicentino e 6 di Vicenza, per capire se l’accumulo di Pfas nel sangue possa causare tumore. «I dati saranno pronti a fine luglio — annuncia il direttore scientifico, professor Massimo Rugge — e una volta certificati da Iarc (International Agency for Research on Cancer) di Lione, saranno a disposizione di tutti, sono pubblici. Le collaborazioni scientifiche sono bene accette, purché rispettino le regole internazionali che disciplinano i Registri Tumori. Allo stato attuale delle cose, non risulta nei 24 Comuni interessati un’incidenza di tumori superiore a quella attesa».
Ma Legambiente ha depositato l’indagine nelle Procure di Verona e Vicenza (a breve pure a Padova) e Medicina Democratica in quella berica. «Sono partiti gli accertamenti — rivela l’avvocato dell’associazione, Luca Tirapelle — noi abbiamo ventilato l’ipotesi di ecoreati, cioè disastro ambientale e avvelenamento da sostanze alimentari».
Michela Nicolussi Moro – Il Corriere del Veneto – 7 maggio 2016