Quando si aprono le porte dell’aula, nel tribunale di Vicenza, i visi dei legali sono più distesi e le «mamme No Pfas» sorridono. I 229 che ne hanno fatto richiesta sono stati autorizzati ad entrare nel processo e a chiedere i danni per il maxi inquinamento che ha interessato le falde delle province di Vicenza, Padova e Verona, ad eccezione di tre associazioni che si sono costituite parti civili dopo i fatti contestati. Responsabili civili, quindi obbligate a pagare i danni — così come da istanza dell’avvocato Fabio Pinelli, che tutela gli interessi della Regione — sono due multinazionali. La giapponese «Mitsubishi Corporation Inc» e la lussemburghese «International Chemical Investors S.E.», attuale proprietaria di tutte le quote della holding che controlla la società, ma anche lo stesso fallimento Miteni, l’azienda di Trissino che avrebbe sversato le sostanze inquinanti. E proprio Miteni, come mai accaduto prima in Italia, si trova nella doppia veste di responsabile civile e parte civile, chiamata a risarcire i danni provocati dai dipendenti ma anche a chiederne la refusione.
Così ha deciso nell’udienza preliminare di ieri il giudice Roberto Venditti, che ha ammesso 226 parti civili nel procedimento contro 13 ex e attuali vertici dell’ex Miteni, in relazione all’inquinamento da sostanze perfluoroalchiliche (Pfas). Già nella prossima udienza del 23 marzo il giudice potrebbe decidere se mandarli a processo davanti alla Corte d’Assise per i reati di disastro ambientale innominato e avvelenamento di acque e sostanze alimentari. Tra le richieste di parte civile figurano 41 ex dipendenti della Miteni, la Regione, la Provincia di Vicenza, Comuni vicentini, padovani e veronesi, ministeri dell’Ambiente e della Salute e Arpav, che ha quantificato danni per oltre 7 milioni di euro, per «l’ingente attività tecnico-scientifica svolta in tutti questi anni», oltre al danno d’immagine. E ancora parti civili ammesse sono ex lavoratori e sindacati, 95 appartenenti al coordinamento «Mamme No Pfas», che si aspettano «che i responsabili paghino, nel senso di incriminazione»; associazioni ambientaliste come Legambiente Veneto(«daremo battaglia nel nome del popolo inquinato»); e le società di gestione del servizio idrico integrato Acquevenete, Viacqua, Acque Veronesi e Acque del Chiampo. Che dal 2013 hanno investito circa 100 milioni di euro per garantire la salute pubblica e l’ambiente e il conto è assai lontano dal chiudersi.
In tanti ieri hanno commentato l’esito dell’udienza. Primo tra tutti il governatore Luca Zaia, che ha sottolineato come la Regione abbia fortemente voluto che i due colossi dell’industria chimica che si sono succeduti nel controllo societario di Miteni venissero chiamati a rispondere, con Miteni, con il proprio patrimonio, degli enormi danni prodotti. «E’ un bellissimo risultato — dice — premia mesi di lavoro preparatorio insieme ai legali e alle parti coinvolte in questa terribile vicenda di inquinamento, la più grave accaduta in Italia insieme a Seveso. Dal 2013 abbiamo voluto andare fino in fondo per far pagare a chi ha avvelenato l’acqua il giusto risarcimento alle popolazioni. In più abbiamo avviato il più grosso screening sanitario mai avvenuto in Italia». Aggiunge il ministro Federico D’Incà (rapporti col Parlamento): «Sui Pfas chiediamo da sempre la verità ed è giusto che i cittadini siano a conoscenza dei reali danni di queste sostanze. La decisione del giudice è un segnale importante per fare piena luce sulla vicenda». «Con l’amminissione del ministero della Salute come parte civile emerge la gravità del caso», la reazione del M5S in Regione.
Il Corriere del Veneto