Più di 120mila veneti esposti a sostanze potenzialmente cancerogene rilevate nelle acque. Per anni. E altri 250mila «interessati dal problema» della contaminazione delle falde. Conclusioni inquietanti, quelle tratte dal monitoraggio della Regione Veneto e dell’Istituto superiore di Sanità: lo studio aveva rivelato la presenza delle Pfas nel sangue degli abitanti di alcune zone delle province di Vicenza, Verona e Padova. E proprio quella ricerca è diventata parte integrante del fascicolo aperto dalla magistratura scaligera che indaga sulla contaminazione dell’acqua di falda: al titolare dell’inchiesta, il pubblico ministero Francesco Rombaldoni, i risultati di quelle analisi hanno fatto ipotizzare il reato di «scarico abusivo in falda».
Quei dati, tuttavia, non solo sufficienti per risalire con certezza agli eventuali «colpevoli» di un inquinamento su vastissima scala. Ragion per cui, su iniziativa della stessa procura di Verona, i carabinieri del Noe hanno adesso ricevuto l’incarico di raccogliere dalle Usl scaligere i dati dei rilevamenti sulla qualità delle acque di falda. Luci puntate sulle analisi relative ai Comuni veronesi i cui acquedotti distribuiscono l’acqua che proviene dai pozzi di Almisano, nel Vicentino. Cifre alla mano, parliamo di tredici Comuni che contano in tutto 72mila abitanti.
Nella stessa area considerata a maggiore rischio di contaminazione rientrano anche diversi comuni vicentini: nel loro caso, però, per competenza territoriale indaga la procura di Vicenza. Ora si scopre che Verona ha messo nero su bianco un reato, in attesa di ottenere dalle Usl provinciali i dati sulla «salute delle acque» degli ultimi anni: l’intento del pm Rombaldoni è di confrontare lo stato delle falde da una zona all’altra del Veronese e, inoltre, da un’annata all’altra. L’obiettivo del magistrato, infatti, è quello di poter chiudere l’inchiesta evitando di chiedere un’eventuale proroga delle indagini per sei mesi: il rischio che grava, pesante come un macigno, sul fascicolo della procura si chiama prescrizione. Proprio per questo, all’orizzonte si profila anche l’ipotesi di un’unica inchiesta veneta: nel caso in cui gli «sversamenti abusivi» in acqua su cui indaga Verona risultassero provocati dall’azienda Miteni (che ha sede a Trissino), il fascicolo verrebbe trasferito per competenza a Vicenza, la cui procura diventerebbe unica titolare della maxi-indagine.
Intanto ieri, nell’ambito di un convegno organizzato dall’Università di Padova, la dirigente della Regione Veneto Francesca Russo ha spiegato che «presto presenteremo in giunta il percorso di “presa in carico” della popolazione, per effettuare dei test sul sangue delle persone tra i 14 e i 65 anni che risiedono nelle zone più esposte. Entro dicembre l’iter sarà concluso e a gennaio si potrà partire con le analisi».
Se l’acqua che esce dai rubinetti di casa ora è sicura – grazie all’installazione dei filtri al carbonio – resta l’incognita degli alimenti prodotti nella zona inquinata. «Domani (oggi, ndr ) incontreremo gli esperti dell’Istituto superiore di Sanità per organizzare un monitoraggio mirato sui cibi, dal pesce alle uova. Così potremo stabilire con certezza quante Pfas contengono e a quali rischi si va incontro assumendoli». (Il Corriere del Veneto)
Mozione in Consiglio. Guarda: «Controllare anche gli scarichi industriali»
“Si avvii subito un censimento di tutti gli scarichi dell’acqua reflua, compresi quelli industriali che prelevano acqua dalla falda e poi la immettono nei corpi idrici superficiali. La battaglia contro l’inquinamento da Pfas va combattuta tutti insieme e per questo è necessario anche il contributo del comparto industriale”. Così la consigliera della Lista Moretti Cristina Guarda che ha presentato ieri una mozione
“Attualmente – continua la consigliera della lista Moretti – nelle zone del Veneto inquinate da Pfas soltanto gli agricoltori sono obbligati a far analizzare e depurare l’acqua prelevata dai pozzi privati per l’irrigazione e l’abbeveraggio degli animali e a sostenerne le spese. L’acqua che viene prelevata dalle industrie, invece, non viene analizzata e quindi c’è il rischio che, una volta scaricata nelle reti idriche, si moltiplichi l’effetto dei Pfas anche nelle acque superficiali. Chiedo dunque alla Giunta veneta di avviare un censimento di tutti gli scarichi industriali, al fine di contenere le concentrazioni di PFAS nelle acque superficiali entro i limiti di performance indicati con una nota alla Regione del 6 aprile dall’Istituto Superiore di Sanità, secondo il quale ‘(…) l’obiettivo per le sostanze perfluoroalchiliche dovrà essere quello della virtuale assenza in tutte le emissioni e scarichi nei corpi idrici’”.
“L’11 maggio – aggiunge Guarda – anche il Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare ha inviato una nota alla Regione del Veneto, confermando l’applicazione dei limiti di performance per gli scarichi di acque reflue. L’appello degli enti preposti alla tutela della salute e dell’ambiente è dunque chiaro e la Regione non può fare orecchie da mercante. Tutti facciano la loro parte, non può essere soltanto l’agricoltura a pagare per colpe che non sono sue”.
La consigliera regionale fa anche una considerazione più generale puntando il dito sulla mancanza di una politica ambientale sostenibile che la questione PFAS sta portando alla luce:
“Gli interventi che si stanno pianificando per rispondere all’emergenza PFAS, sia per quanto concerne l’ambiente che la sanità, sono progettati nel rispetto del principio di precauzione e stanno mettendo alla prova il nostro territorio. Purtroppo, però, dobbiamo essere consapevoli che fino ad ora la nostra Regione non ha mai avuto un programma, non ha mai pianificato interventi in particolare per quanto concerne la garanzia dell’ambiente, la bonifica, la tanto dimenticata prevenzione ambientale, la “green economy”. E naturalmente ne stiamo pagando le conseguenze: inquinamenti vasti che vanno sempre ad incidere sulle tasche dei contribuenti per riparare al danno”.
“Con i perfluoroalchilici molti cittadini cominciano ad accorgersi che l’inquinamento, qualunque esso sia, non riguarda solo l’ambiente, ma crea un effetto a cascata disastroso, che colpisce molteplici realtà: salute, agricoltura, imprese e innovazioni, ritorno economico e lavoro, responsabilità industriale, politica e gestione dei beni comuni, proprio come l’acqua. Dobbiamo pensare d’ora in poi che al Veneto serve una politica ambientale seria per il futuro dell’ambiente che lasceremo in eredità ai nostri figli”.
8 giugno 2016