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Pfas, lo studio sui veleni nelle mani del pm. E c’è l’ipotesi di un’unica inchiesta veneta. Verona, la procura accelera. Legambiente: fate presto. I tempi di prescrizione mettono a rischio l’indagine

Sostanze a potenziale cancerogeno nelle acque del Veneto. Per anni. Più di 60mila persone residenti nelle zone a maggior impatto risulterebbero essere state «contaminate». E altre 250 mila sarebbero «interessate dal problema». Sono già al vaglio della procura di Verona i dati del monitoraggio realizzato dalla Regione Veneto e dall’Istituto superiore di Sanità: lo studio, presentato una decina di giorni fa, ha rivelato la presenza di Pfas nel sangue degli abitanti di alcune zone delle province di Verona, Vicenza e Padova.

E adesso proprio quella ricerca diventa parte integrante del fascicolo aperto dalla magistratura scaligera che indaga sulla contaminazione dell’acqua di falda.

Titolare dell’inchiesta è il pubblico ministero Francesco Rombaldoni, chiamato a fare luce su quello che, dati alla mano, si configura come un disastro ambientale» di estese dimensioni. Al momento, proprio quella di «disastro ambientale» è l’ipotesi di reato per cui risulta aperto il fascicolo d’indagine della magistratura veronese. Non è detto, però, che lo scenario che fa da sfondo all’inchiesta rimanga effettivamente tale: al vaglio del pm, anche se per ora non viene ufficialmente contestato, risulta infatti anche il reato di «sversamento non autorizzato di sostanze nocive in acqua». E se alla fine, nel giudizio degli inquirenti, sarà questa seconda ipotesi a prevalere, allora l’intera inchiesta verrà trasmessa per competenza territoriale ai colleghi della procura di Vicenza (titolare dell’inchiesta berica è il pubblico ministero Barbara De Munari), che sulle sostanze Pfas ha ugualmente aperto un’indagine ed esattamente come il pm di Verona, nei giorni scorsi, ha acquisito i dati dello studio di Regione Veneto e Istituto superiore di Sanità sulle Pfas: prodotte per decenni dalla fabbrica Miteni di Trissino, nel vicentino, sono sostanze chimiche utilizzate per impermeabilizzare pentole e tessuti e gli studi hanno dimostrato che hanno raggiunto le falde acquifere delle province di Vicenza, Verona e Padova.

Potrebbe dunque prospettarsi un’unica mega inchiesta veneta per venire a capo del caso delle Pfas,a meno che la contestazione penale alla fine non rimanga quella di disastro ambientale: se fosse così, infatti, la competenza a indagare resterebbe veronese. Non è finita qui, perché la magistratura scaligera nel frattempo ha inoltre affidato anche il compito all’associazione Legambiente di presentare una relazione sull’ipotesi di avvelenamento delle sostanze alimentari e quindi destinate al consumo umano: appare già evidente che, se venisse accertata una correlazione in merito, allora la configurazione dei reati contestati assumerebbe una gravità ancora maggiore. «L’importante è non perdere altro tempo – interviene Lorenzo Albi, vicepresidente di Legambiente Verona -.In passato avevamo già presentato due esposti, ora stiamo valutando di depositarne un terzo».

Anche a livello veneto gli attivisti continuano con la battaglia contro l’inquinamento, su diversi fronti. Quello giudiziario, innanzi tutto. «Siamo di fronte ad un disastro ambientale su scala europea, di cui la politica non ha ancora capito la gravità », denuncia la consulente in diritto ambientale Marina Lecis. «Finora sono stati presentati due ricorsi amministrativi e due esposti penali, ma ora ne depositeremo altrettanti nelle procure di Padova e Rovigo», ha annunciato l’avvocato Giorgio Destro. Proprio nel suo studio nei giorni scorsi si è costituita «La terra dei Pfas» (iscrizioni aperte all’indirizzo laterradeipfas@libero.it). Un’associazione dal nome evocativo (a richiamare la «terra dei fuochi» tra Napoli e Caserta) e che ha come obiettivo quello di raccogliere il maggior numero di firme dei cittadini e poi dare vita nelle prossime settimane ad una class action per rivendicare il diritto alla salute e ottenere dei risarcimenti per l’inquinamento delle falde venete. «L’azione legale — spiega l’avvocato Destro — verrà condotta contro la Miteni di Trissino, indicata dall’Arpav quale sorgente di tale inquinamento, ma anche nei confronti della Regione Veneto per non aver tempestivamente provveduto alla tutela della popolazione e dell’ambiente. È un problema di salute che hanno tutti i veneti — aggiunge il legale — e a cui adesso bisogna rispondere».

Pfas, i tempi di prescrizione mettono a rischio l’inchiesta. Procura di Vicenza pessimista, se Miteni dice il vero è salva

Inchiesta Pfas, dalle premesse pare arduo arrivare ad inchiodare penalmente i responsabili dell’inquinamento. «Colpa» dei tempi di prescrizione e di strumenti legislativi troppo recenti. E il primo a mostrare del pessimismo sembra proprio il procuratore capo Antonino Cappelleri che ieri ha dato alcuni aggiornamenti sull’inchiesta, per quanto ancora in fase embrionale.

Pochi elementi che tracciano già la panoramica, che sembra godere di limitate prospettive. Cappelleri ha fatto sapere infatti che le sostanze sversate di recente nelle nostre acque non sono qualificate come inquinanti in quanto non inserite nelle relative tabelle. Il che precluderebbe la possibilità di poter procedere con l’ipotesi di disastro ambientale, reato questo che prevede pene dai 5 ai 15 anni ma esiste solo dal maggio del 2015, ovvero da quando è entrata in vigore la legge numero 68 in materia di delitti contro l’ambiente. E, da precisare, non si tratta di una legge con effetto retroattivo, il che significa che non potranno essere puniti per disastro ambientale i comportamenti antecedenti, quando cioè il reato non era previsto.

Ciò non significa che non si possa procedere. Se, come riporta il procuratore capo Antonino Cappelleri, il rilascio delle sostanze inquinanti Pfas nelle falde acquifere del territorio è avvenuto prima che venisse varata dal Parlamento la nuova normativa, vorrà dire che si procederà per il reato previsto dalla vecchia normativa, e cioè il disastro colposo, quello che era stato iscritto dal pubblico ministero Luigi Salvadori nel fascicolo aperto più di un anno fa e che ora è passato di mano alla collega Barbara De Munari. Ma anche qui il lavoro della procura sembra essere tutto in salita perché la prescrizione è dietro l’angolo. E si fa presto a fare i conti.

Se l’azienda indicata come possibile origine della contaminazione delle falde acquifere, la Miteni di Trissino, sostiene di non produrre Pfos e Pfoa dal 2011, il reato, considerato il lasso di tempo già trascorso, andrebbe verso la cancellazione.

La prescrizione per gli eventuali reati ambientali avviene infatti in un periodo massimo di sette anni e mezzo. Quindi, se davvero dovesse avverarsi questo quadro, considerando poi i tempi della giustizia, alle persone danneggiate non rimarrebbe altro che la strada della causa civile. Quantomeno nella prospettiva di ottenere qualche riconoscimento del danno patito (che dovrà essere dimostrato) in termini economici.

Così come hanno fatto negli anni scorsi i cittadini dell’Ohio, negli Usa, che con una class action portarono in tribunale la multinazionale Dupont, accusata di aver immesso nel fiume Ohio quantità considerevoli di Pfoa (che fanno parte dei Pfas) e che per questo fu condannata a pagare, nel 2005, oltre 330 milioni di dollari di risarcimenti. Circa 70mila vennero utilizzati per un’indagine epidemiologica, una delle poche, se non l’unica ad oggi relativa alla correlazione tra inquinante e malattie.

A voler avviare una class action contro la Miteni spa di Trissino, indicata dall’Arpav quale sorgente dell’inquinamento da Pfas ma anche contro la Regione Veneto per non aver tempestivamente provveduto alla tutela della popolazione e dell’ambiente è la neonata associazione «Terra dei Pfas» che si è costituita nei giorni scorsi a Padova. Associazione che può contare sull’appoggio di un buon numero di avvocati che stanno indicando la strada da percorrere per cercare di rivalersi sui teorici responsabili dell’inquinamento nell’area tra Vicentino, Veronese e Padovano.

Corriere del Veneto – 3 maggio 2016 

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