“E’ solo in parte vero che manca una specifica normativa di riferimento in materia di Pfas”. Il giorno dopo la diffusione dei dati del biomonitoraggio ematico sui residenti delle aree esposte all’inquinamento, il consigliere del Pd, Andrea Zanoni, spiega: “Esistono, infatti, degli obblighi di legge per quanto riguarda l’autorizzazione di attività industriali e le tutele dagli impatti sull’ambiente e sulla salute. Esiste anche una normativa sulle sostanze chimiche (regolamento Ue Reach) che prevede la caratterizzazione della tipologia e delle quantità prodotte ed utilizzate, e le forme di smaltimento. Esiste una normativa specifica sugli standard di qualità delle acque interne, che fissa precisi limiti per i Pfos, estesi anche alla risorsa ittica. Esiste una normativa che vieta la presenza di sostanze persistenti e bioaccumulabili che possano risultare pericolose per l’ambiente, gli animali e l’uomo, legato all’impiego agronomico dei fertilizzanti organici”.
Non solo, ricorda Zanoni, ci sono pareri autorevoli in materia di sicurezza alimentare rilasciati dall’Efsa proprio sul rischio di esposizione da Pfos e da Pfoa.
“La Giunta Regionale – dice il consigliere del Pd – doveva e deve effettuare i controlli essendo a conoscenza delle caratteristiche fisico-chimiche delle sostanze prodotte o utilizzate, del ciclo produttivo e delle quantità, e del loro potenziale impatto sull’ambiente e sulla salute, non solo dei lavoratori addetti”.
Oggi i risultati dello studio di biomonitoraggio indicano “il fallimento delle misure di prevenzione ambientale e alimentare, e non forniscono sufficienti evidenze riguardo alle vie di esposizione e alla durata dell’esposizione. La Regione, infatti, non ha fornito nessun dato di contesto né le misure intraprese per capire quanto e come si è esposti ai Pfas in un’ottica integrata, ambiente, alimentazione, salute”.
Continua Zanoni: “Non corrisponde peraltro al vero che nella letteratura sia solo l’acqua la maggiore fonte di esposizione ai Pfas. In Olanda l’istituto superiore di sanità nazionale Rivm ha evidenziato come anche l’aria respirata in vicinanza di un impianto di produzione di Pfoa, possa essere rilevante ai fini dell’esposizione. Peraltro anche l’Istituto Superiore di Sanità, nel suo parere sul monitoraggio degli alimenti nella regione Veneto, non esclude per il Pfos una rilevante esposizione attraverso il consumo di pesce di cattura da acque contaminate o mediante il consumo di uova da allevamenti avicoli rurali”.
Secondo il consigliere dem i dati sulle analisi ematiche presentati ieri aprono anche altri scenari, più vasti e non rassicutìranti. “La presenza di individui fortemente esposti che non appartengono alle aree a supposta maggiore contaminazione dell’acqua – osserva – indicano la necessità di ulteriori approfondimenti e non escludono che le persone esposte risiedano anche fuori dalla zona per ora delimitata come più contaminata”.
“E’ necessario dare più chiarezza e trasparenza nelle informazioni e nelle azioni intraprese, in coerenza con la mozione votata dal Consiglio regionale il 22 marzo. In questo modo sarà assicurato un maggiore coinvolgimento della popolazione. Che si deve sentire garantita e non tranquillizzata, soprattutto in caso di sostanze persistenti e che si bioaccumulano”.
Venendo più nel dettaglio ai risultati del biomonitoraggio Zanoni sottolinea: “Lo studio dipinge una situazione di massima attenzione da parte delle autorità sanitarie, considerati i valori di picco massimo dei Pfoa pari a 248 e 754 ng/g (nanogrammi per grammo di sangue) che testimoniano la pesante contaminazione di molti cittadini. Inoltre di per sè lo studio non è in grado di indicare quali sono le differenti vie di esposizione e la loro rilevanza nel determinare i livelli di tale contaminazione del sangue”.
Anche il fatto che “i risultati del biomonitoraggio non siano stati illustrati per classi di età, come invece previsto dallo studio, non fornisce informazioni su esposizioni di vecchia data o avvenute in epoche più recenti, nè sul sesso. L’esposizione in epoche più recenti riguarda una fascia di popolazione in età fertile, e quindi sono oltremodo importanti valutare gli effetti genetici e riproduttivi per esposizioni pre-natali e perinatali degli embrioni e dei bambini.
La mancanza inoltre di un’elaborazione sulle abitudini alimentari non permetta di capire se, oltre l’acqua, ci possa essere qualche altro fattore di esposizione non considerato, di potenziale rilevanza soprattutto per spiegare i valori estremi anche nel gruppo dei non esposti. Il fatto che un livello molto elevato di Pfos si trovi nel gruppo non esposto, indica come la contaminazione avvenga non solo tramite l’acqua”
Altro punto debole, “la mancata elaborazione dei dati riferiti ai “maggiormente esposti”, ovvero agli allevatori e agricoltori. Tale gruppo rappresenta una popolazione a quasi certa maggiore esposizione, e si riconnette alla mancanza delle valutazione delle abitudini alimentari”.
“Viene poi da chiedersi – aggiunge – su quale base di valutazioni sanitarie la Regione Veneto esenterà dai ticket le persone risultate esposte? Quali categorie di persone saranno considerate esentate e per quali tipi di contaminazione e durata? Gli interrogativi sono troppi, i dubbi molti, le risposte chiare poche”.
E conclude: “Risulta evidente che adesso, dopo queste prime conferme, diventa decisivo che i cittadini procedano nelle forme consentite dalla legge a chiedere i danni a chi ha causato potenziali gravi rischi per la loro salute. Invito inoltre i residenti, non oggetto di esami, a sottoporsi ad analisi del sangue per verificare la presenza degli inquinanti. Credo fermamente che in questa vicenda vada applicato il principio europeo secondo il quale “chi inquina paga”, a maggior ragione se si tratta di contaminazione del proprio organismo”
“La Regione dia quindi subito seguito alla mozione approvata dal Consiglio regionale il 22 marzo dove sono stati accolti due emendamenti che ho presentato sulle cause civili e penali da effettuarsi nei confronti dei responsabili: azioni utili alla richiesta del risarcimento danni”.
21 aprile 2016