Alessandro Barbera. Nel governo qualcuno la definisce la «sindrome Berlusconi». Tagli le tasse, recuperi consenso, ma per massimizzare l’obiettivo fai finta di nulla e rinunci a tagliare le spese. Il conto però prima o poi arriva: aumento del deficit, conti fuori controllo, perdita di credibilità. La sintesi del discorso di ieri di Piercarlo Padoan è tutta qui: avanti tutta con il piano Renzi, purché la spesa cali.
Non è dato sapere se il messaggio fosse rivolto direttamente al premier, o un avvertimento preventivo ai ministri che hanno già iniziato a scalpitare contro il piano Gutgeld-Perotti. Le indiscrezioni che filtrano dai palazzi raccontano le solite resistenze. Talvolta è la burocrazia dei ministeri, talvolta la politica. C’è chi non vuole rinunciare a un certo capitolo di spesa, chi teme di pagare dazio alle lobby che da anni possono contare su questa o quella agevolazione fiscale. «I primi a fare resistenza sono al Tesoro», ci tiene a precisare sotto anonimato un’autorevole fonte di Palazzo Chigi. Poco importa dove stiano le maggiori responsabilità. Il piano di tagli alla spesa vale dieci miliardi, meno della metà della manovra da 25 che Renzi vuole approvare. Per risultare «credibile» Padoan fa capire che quei risparmi dovranno esserci tutti, anzi se possibile qualcosa di più.
I tagli impossibili
Se Renzi decidesse di mettere in fila tutti i dossier che ha sul tavolo, la somma supererebbe di gran lunga quella finora preventivata. L’ipotesi di base prevede tre miliardi e mezzo miliardi di risparmi dalle procedure di acquisto di beni e servizi, tre di minor spesa sanitaria, fino a due miliardi dai ministeri, altrettanto dal taglio a svariate agevolazioni fiscali. Per il solo settore dell’autotrasporto sono previsti 400 milioni di minori trasferimenti, vai poi a vedere come va a finire. Ogni governo puntualmente ci prova, salvo venire a patti con la lobby di riferimento. Di solito accade a dicembre, e l’alternativa è il blocco delle strade sotto Natale.
I Comuni spendaccioni
Il dossier delle aziende pubbliche partecipate dagli enti locali potrebbe essere una miniera di risparmi. Non solo per via delle oltre quattromila società comunali delle quali si potrebbe fare tranquillamente a meno reinternalizzando i servizi. Si potrebbe risparmiare un miliardo riscrivendo i contratti di bus e treni pubblici: basterebbe fargli trasportare 40 persone ogni cento posti disponibili invece dei 22 di oggi. E che dire della spesa assistenziale? Secondo i calcoli la revisione dei criteri per la concessione delle pensioni di invalidità – oggi avviene sulla base di parametri socio-economici – e un accentramento dei controlli all’Inps vale a regime tre miliardi.
Le cambiali da onorare
«In Europa c’è grande mancanza di fiducia reciproca, ed è per questo che un Paese deve presentarsi in maniera credibile con una politica finanziaria sostenibile nel lungo periodo», dice Padoan. L’alternativa possibile con Bruxelles è firmare cambiali. Si chiamano «clausole di salvaguardia»: Renzi ne deve onorare una da 16 miliardi entro il 31 dicembre, pena l’aumento di Iva e accise per quell’ammontare. I conti alla fine dovranno tornare, e la coperta è già cortissima. Una volta strappata quella cambiale, restano poco meno di dieci miliardi, metà dei quali impegnati dal premier per abolire l’Imu su tutte le prime case, anche quelle di lusso che non erano state esentate nemmeno da Berlusconi nel 2006. Per ridurre il costo del lavoro rischia di rimanere poco, di qui il dibattito interno alla maggioranza sulla opportunità di puntare tutto sulla casa. Per confermare la decontribuzione ai neoassunti servono, nel solo primo anno, altri due miliardi. Per spendere meno, Padoan ha accennato all’ipotesi di concentrare gli sgravi solo al Sud, esattamente la soluzione che Renzi e i suoi consiglieri vorrebbero evitare.
La Stampa – 27 agosto 2015