di Stefano Folli. «Un filotto impressionante di errori del governo, dalle slot al Salva Roma». Così Davide Faraone, membro della segreteria Pd, in un post su Facebook scrive: «Non basta un rimpasto, o si cambia radicalmente o si muore». Scelta civica e Nuovo centrodestra chiedono più spazio e Berlusconi dice: «Pronti al voto».
Giorni fa il segretario del Pd affermava che il premier sarebbe rimasto al suo posto nell’intero arco del 2014 ed elencava una serie di riforme qualificanti da portare a termine. Lasciava anche intendere di essere pronto a sottoscrivere un serio patto di programma con il governo, ammettendo che la stabilità operosa è un valore a cui l’Italia di oggi non può rinunciare.
Da ieri sera tuttavia il quadro sembra mutato. I luogotenenti imputano all’esecutivo un rosario di errori: da una mediocre legge di stabilità alle incongruenze del “milleproroghe” agli affitti d’oro eccetera. E si spingono a dire che gli italiani non meritano dei governanti così deboli e irresoluti. Forse hanno persino ragione, se non fosse che a parlare sono i nuovi dirigenti del Partito Democratico, ossia la spina dorsale del governo guidato peraltro da un esponente dello stesso Pd. E senza dimenticare che i parlamentari del Pd hanno appena votato la fiducia allo stesso esecutivo che ora viene messo sotto accusa con argomenti tipici di un partito d’opposizione.
E allora si torna alla domanda iniziale: Renzi e i suoi si muovono seguendo una strategia oppure oscillano proprio perché sono privi di una strategia? Probabilmente la risposta sta nel mezzo. Il nuovo leader del Pd vuole sferzare Palazzo Chigi perché vede i rischi del piccolo cabotaggio e teme di pagarne il prezzo in termini elettorali. Purtroppo la storia insegna che le invettive da sole non bastano e di solito non servono nemmeno a raccogliere stabili consensi. La tradizione del partito “di lotta e di governo” già in passato non ha portato fortuna alla sinistra. E oggi non basta sottrarsi all’ipotetico patto con Letta, considerandolo una rischiosa trappola. E nemmeno esorcizzare il cosiddetto “rimpasto” (ossia il ricambio di alcuni ministri) per tema di essere considerato dall’opinione pubblica un cacciatore di poltrone.
Tutto questo dire e contraddire avrebbe un senso se Renzi avesse deciso di portare gli italiani alle elezioni anticipate in primavera. Ma sappiamo che questa strada è ostruita. Al momento non c’è una riforma elettorale in grado di rendere governabile il paese dopo il voto. E poi, come è ovvio, c’è anche la difficoltà di far cadere Letta, visto che il Pd è, almeno fino a oggi, corresponsabile delle scelte dell’esecutivo. È chiaro che Renzi sente crescere intorno a sé il malessere sociale di cui si alimentano grillini e leghisti. Ma certe uscite polemiche devono avere un punto di ricaduta concreto, altrimenti fanno il gioco della vera opposizione. Che rispetto al premier Letta non può essere costituita dal Partito Democratico.
È pur vero che stavolta Renzi può giovarsi dell’irritazione del Quirinale nei confronti delle Camere per come hanno gestito gli ultimi decreti. Tanto più che tale irritazione ha sfiorato, e non poteva essere altrimenti, lo stesso presidente del Consiglio. Questo non autorizza ancora nessuno a ritenere che Napolitano abbia attenuato il suo sostegno a Letta, tuttavia l’episodio offre un incoraggiamento indiretto a Renzi e alla sua tesi secondo cui “o si cambia o si muore”. Solo che il cambiamento non si misura nei giochi di palazzo, bensì attraverso atti ben precisi, percepibili dalla gente.
Il sole 24 Ore – 29 dicembre 2013